Il gruppo affronta il tema del momento
in cui insorge il fenomeno depersonalizzativo, all’interno della
relazione con la figura primaria di riferimento.
Si è d’accordo nel ritenere insufficiente
il termine traumatico in quanto aspecifico. Anche il tema di un’assenza
momentanea della figura di riferimento, intesa come distrazione,
assorbimento nei suoi pensieri, depressione distanziante della
madre, appare importante, ma non del tutto soddisfacente. Sembra
che si verifichi qualcosa di più.
La madre non è soltanto assente o non
rispondente (non responsive). Il bambino o la bambina sembrano
vivere la sensazione molto precisa che la madre in certi momenti
subisca addirittura una specie di trasformazione, diventando qualcosa
di non umano o addirittura inanimato, ma non nel senso di crudele
o mostruoso, piuttosto come persona non del tutto dotata delle
qualità vitali che dovrebbero contraddistinguere un organismo
vivente. In altri termini, in certi momenti la figura di riferimento
si disumanizza e quindi diventa enigmatica, misteriosa, inafferrabile
quanto distante.
Viene riportato l’esempio di un incubo
di una ragazza borderline. Ha sognato che era costretta a letto
da una malattia e che la madre le portava la colazione. Quest’ultima
però aveva sul viso un ragno. La vista del ragno sul viso della
madre terrorizzava la ragazza, che si svegliava di soprassalto
in preda al terrore con batticuore e sudorazione.
Il gruppo propone l’ipotesi che la ragazza,
in certi momenti, senta la madre come non più dotata di qualità
umane, ma come se appartenesse ad una sfera a metà tra l’animato
e l’inanimato, tra il vivo e il non vivo.
Si avanza l’ulteriore ipotesi che questo
costituisca il momento iniziale della dissociazione, intesa come
restringimento dello stato di coscienza. Questo iniziale momento
di depersonalizzazione determina infatti uno stato d’animo di
profonda solitudine, di mancanza di calore nel mondo e la convinzione
che il ragno non sia solo nell’oggetto, ma anche nel soggetto,
che si sente così appartenente a una specie vivente bizzarra e
imprevedibile, non del tutto viva e non del tutto morta.
Questo stato può evolvere verso una rabbia
impregnata di disperazione, che attacca la figura di riferimento,
nel tentativo maldestro di costringerla con la forza a ridiventare
umana.
Seguendo un ulteriore sviluppo, si può
arrivare a momenti di dissociazione più profonda e frequente come
avviene nel disturbo dissociativo di personalità. Più spesso si
rimane nell’ambito di una rabbiosità disperata e impotente, che
prelude agli agiti emozionali o alla tossicomania.
Il senso di vuoto potrebbe essere una
conseguenza di questa esperienza. Non siamo in presenza del senso
di mancanza del depresso, tutto impregnato di perdita, dolore
e nostalgia verso qualcuno che c’era e ora non c’è più. Qui siamo
in presenza di una percezione di sè stesso e dell’altro come esseri
disumani, cui manca un elemento di umanità, che tutti gli altri
avrebbero fuorché loro.
La psicosi si distingue da questo stato
perché evolve verso uno stato parallelo delirante che qui invece
resta sospeso.
Forse la figura di riferimento percepisce
la sensualità del bambino o della bambina come aggressiva e risponde
con uno stile meccanico, che non riesce a dissimulare un cero
disgusto per la fisicità del bambino.
Anche l’incapacità di leggere nella mente
degli altri sarebbe legata a questo elemento di disumanizzazione,
che determina una specie di paralisi conoscitiva.
Note Bibliografiche
- Herman J.L.: Guarire dal trauma,
Edizioni Scientifiche Ma.Gi, Roma, 2005
- Correale A.: Area traumatica
e Campo istituzionale, Borla, Roma, 2006