GRUPPO DI STUDIO PER IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ

TRAUMA E DEPERSONALIZZAZIONE

(contributo del gruppo)

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A. Correale

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     Il gruppo affronta il tema del momento in cui insorge il fenomeno depersonalizzativo, all’interno della relazione con la figura primaria di riferimento.

     Si è d’accordo nel ritenere insufficiente il termine traumatico in quanto aspecifico. Anche il tema di un’assenza momentanea della figura di riferimento, intesa come distrazione, assorbimento nei suoi pensieri, depressione distanziante della madre, appare importante, ma non del tutto soddisfacente. Sembra che si verifichi qualcosa di più.

     La madre non è soltanto assente o non rispondente (non responsive). Il bambino o la bambina sembrano vivere la sensazione molto precisa che la madre in certi momenti subisca addirittura una specie di trasformazione, diventando qualcosa di non umano o addirittura inanimato, ma non nel senso di crudele o mostruoso, piuttosto come persona non del tutto dotata delle qualità vitali che dovrebbero contraddistinguere un organismo vivente. In altri termini, in certi momenti la figura di riferimento si disumanizza e quindi diventa enigmatica, misteriosa, inafferrabile quanto distante.

     Viene riportato l’esempio di un incubo di una ragazza borderline. Ha sognato che era costretta a letto da una malattia e che la madre le portava la colazione. Quest’ultima però aveva sul viso un ragno. La vista del ragno sul viso della madre terrorizzava la ragazza, che si svegliava di soprassalto in preda al terrore con batticuore e sudorazione.

     Il gruppo propone l’ipotesi che la ragazza, in certi momenti, senta la madre come non più dotata di qualità umane, ma come se appartenesse ad una sfera a metà tra l’animato e l’inanimato, tra il vivo e il non vivo.

     Si avanza l’ulteriore ipotesi che questo costituisca il momento iniziale della dissociazione, intesa come restringimento dello stato di coscienza. Questo iniziale momento di depersonalizzazione determina infatti uno stato d’animo di profonda solitudine, di mancanza di calore nel mondo e la convinzione che il ragno non sia solo nell’oggetto, ma anche nel soggetto, che si sente così appartenente a una specie vivente bizzarra e imprevedibile, non del tutto viva e non del tutto morta.

     Questo stato può evolvere verso una rabbia impregnata di disperazione, che attacca la figura di riferimento, nel tentativo maldestro di costringerla con la forza a ridiventare umana.

     Seguendo un ulteriore sviluppo, si può arrivare a momenti di dissociazione più profonda e frequente come avviene nel disturbo dissociativo di personalità. Più spesso si rimane nell’ambito di una rabbiosità disperata e impotente, che prelude agli agiti emozionali o alla tossicomania.

     Il senso di vuoto potrebbe essere una conseguenza di questa esperienza. Non siamo in presenza del senso di mancanza del depresso, tutto impregnato di perdita, dolore e nostalgia verso qualcuno che c’era e ora non c’è più. Qui siamo in presenza di una percezione di sè stesso e dell’altro come esseri disumani, cui manca un elemento di umanità, che tutti gli altri avrebbero fuorché loro.

     La psicosi si distingue da questo stato perché evolve verso uno stato parallelo delirante che qui invece resta sospeso.

     Forse la figura di riferimento percepisce la sensualità del bambino o della bambina come aggressiva e risponde con uno stile meccanico, che non riesce a dissimulare un cero disgusto per la fisicità del bambino.

     Anche l’incapacità di leggere nella mente degli altri sarebbe legata a questo elemento di disumanizzazione, che determina una specie di paralisi conoscitiva.

Note Bibliografiche

  1. Herman J.L.: Guarire dal trauma, Edizioni Scientifiche Ma.Gi, Roma, 2005
  2. Correale A.: Area traumatica e Campo istituzionale, Borla, Roma, 2006

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