GRUPPO DI STUDIO PER IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ

Emanuele Nutile

L’ESPERIENZA DEL “GRUPPO CENTRATO SU MINDFULNESS E COPING”, RIVOLTO SIA A PAZIENTI “NEVROTICI” CHE CON DISTURBI DI PERSONALITA’ [DSM, ASL ROMA B]

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 Negli ultimi anni si sta registrando in maniera sempre maggiore, specialmente nei servizi pubblici (ma non solo), un notevole interesse nei confronti  delle terapie di gruppo. Vorrei occuparmi in particolare di quelle a tempo definito (o a termine).

I gruppi terapeutici a tempo definito risultano, tra l'altro, meno costosi e alquanto efficaci. Sono particolarmente indicati nei servizi pubblici dove la richiesta di aiuto psicologico è molto elevata a fronte di un numero di operatori non sempre adeguato. D’altra parte possiamo affermare che si va gradualmente sgretolando il mito secondo il quale una psicoterapia, per essere veramente efficace, deve essere preferibilmente individuale e molto lunga.

Le terapie brevi e le terapie di gruppo

Il padre delle terapie brevi è certamente S. Ferenczi con la sua "tecnica attiva". Successivamente si sono sviluppate le psicoterapie focali, sempre di orientamento psicodinamico,  generalmente brevi ( di durata non superiore ai sei mesi). Con le terapie cognitivo-comportamentali il concetto di psicoterapia breve si è ulteriormente affermato; questo indirizzo psicoterapico è stato peraltro alquanto approfondito relativamente alla valutazione dell'efficacia attraverso l'utilizzazione di strumenti oggettivi (scale di valutazione, tests, etc.). Anche  la psicoterapia integrata, nelle sue diverse e differenti formulazioni, ha contribuito all'incremento dell'utilizzo degli interventi psicoterapici brevi.

Altrettanto importante è stata la sempre maggiore diffusione delle psicoterapie di gruppo che, come si è detto, risultano più "economiche" relativamente al rapporto costi-benefici. Si può affermare con una certa sicurezza che le psicoterapie di gruppo sono sostanzialmente equivalenti, in quanto ad efficacia, alle psicoterapie individuali;  risultano inoltre efficaci non solo per i casi di "nevrosi", ma anche per patologie gravi come i disturbi di personalità e le stesse psicosi. In alcuni casi, la psicoterapia di gruppo può definirsi elettiva per alcune patologie (superamento di fobie sociali, attacchi di panico, etc.).

Incrociando i dati e le considerazioni relativi alle terapie brevi ed alle terapie di gruppo, si possono ottenere utili indicazioni rispetto alle psicoterapie brevi di gruppo. In questa sede ci occupiamo, come si è detto, in particolare, di interventi di psicoterapia di gruppo a tempo definito o a termine.

Nella terapia di gruppo a tempo definito, a differenza della psicoterapia breve di gruppo, il numero complessivo delle sedute e quindi il termine dell’intervento vengono stabiliti all’inizio del trattamento (da 12 a 50 sedute, in generale). Nel gruppo a tempo definito, occorre, ancor più che per i gruppi a tempo indeterminato, essere molto attenti alla selezione dei pazienti, alla motivazione degli stessi e alle ultime sedute (chiusura) del gruppo.

Per quanto concerne la omogeneità o eterogeneità del gruppo a tempo definito, si rinvia ai gruppi in generale: i vantaggi del gruppo omogeneo (es. solo pazienti depressi o solo pazienti borderline, etc.) deriverebbero da una maggiore coesione e sostegno tra i membri del gruppo e quindi, per alcuni, l’omogeneità dei pazienti sarebbe preferibile anche negli interventi a termine. Personalmente mi sento di affermare che, per i gruppi a termine centrati su minfulness e coping, ho trovato sempre molto più utile che vi partecipassero pazienti con diversa patologia: a riguardo parlerei di maggiore ricchezza e conseguente  migliore attivazione del rispecchiamento e della solidarietà.

Il  fattore tempo e l’efficacia dei gruppi a tempo definito

Nei gruppi a tempo definito, v’è nei pazienti e nel conduttore la consapevolezza del tempo che rimane rispetto alla fine dell’intervento. Questo dato consente di accelerare, concentrare ed intensificare utilmente l’impegno, gli aspetti psicoeducativi, le verifiche, etc.

In questo tipo di gruppo, il terapeuta deve essere sicuramente più direttivo rispetto ai gruppi a tempo indefinito, ed i pazienti devono sapere che da parte loro è importante un maggiore impegno. In questo tipo di gruppo, tutto il periodo della terapia è da considerarsi un periodo di autoanalisi, di verifiche, di “esercizi a casa”, etc. Questo dato vale, ovviamente, per qualunque psicoterapia ma, in questo caso, è sicuramente molto più importante.

È evidente che in questo tipo di terapia, il problema della “conclusione” è centrale e molto delicato. Molti pazienti temono di non riuscire, dopo la fine degli incontri, a procedere nel modo giusto, temono peggioramenti, etc.

È quindi necessario che il conduttore prepari il gruppo alla conclusione gradualmente, sottolineando che gli obiettivi da raggiungere non devono essere troppo ambiziosi e che comunque questo gruppo è solo uno degli interventi finalizzati alla cura del proprio disagio, alla riduzione dei sintomi ed al miglioramento della qualità della vita. Questa impostazione, se ben condotta, riduce anche la deleteria dipendenza dal terapeuta e dalla terapia che spesso si verifica negli  interventi psicoterapici “pluriennali” sia individuali che di gruppo.

È comunque accertata la validità ed efficacia di più trattamenti sequenziali o nello stesso periodo di tempo e ciò in particolare nei casi di grave disturbo di personalità (disturbo borderline, disturbo narcisistico, etc.) : non è  infatti possibile pensare di “risolvere” tutte le problematiche psicologiche di un paziente nel corso di un unico lungo intervento psicoterapico. Pertanto è utile far passare il concetto che il gruppo a tempo definito rappresenta uno degli interventi psicoterapici, forse anche il più importante, ma non necessariamente il solo.

Il gruppo a tempo definito centrato su mindfulness e coping

 Il termine “mindfulness” (presenza mentale) indica la consapevolezza non giudicante che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell’esperienza presente, momento per momento. Questa attenzione è  sviluppata prevalentemente attraverso la meditazione.

Il termine “coping” introdotto da R. Lazarus nel 1966, può essere tradotto con l’espressione “fronteggiamento”. La capacità di coping si riferisce alla gestione attiva del disagio psichico derivante sia  da problemi intrapsichici che da problemi relazionali.. L’intervento terapeutico è pertanto centrato sulla acquisizione e sperimentazione di strategie e abilità messe in atto per fronteggiare il disagio psichico.

Il gruppo centrato su mindfulness e coping può essere prevalentemente rivolto a due categorie di pazienti:

1) pazienti portatori di disturbi d’ansia e/o depressivi con o senza lievi disturbi  di personalità;

2) pazienti affetti sia da disturbi nevrotici polisintomatici che da disturbi di personalità di livello medio o medio-gravi;  per questa categoria di pazienti, questo tipo di intervento appare più efficace se i pazienti si sono già sottoposti a terapia individuale acquisendo una maggiore consapevolezza delle cause del proprio disagio.

Al riguardo va sottolineato che spesso pazienti, appartenenti sia al primo che al secondo gruppo, anche dopo uno o più interventi psicoterapici (con o senza contestuali trattamenti farmacologici) non sono in grado di fronteggiare in maniera soddisfacente le loro difficoltà psicologiche, pur avendo acquisito il più delle volte una migliore consapevolezza rispetto alle difficoltà in questione (risultato peraltro da non sottovalutare). Un numero sempre maggiore di pazienti chiede pertanto che una psicoterapia o più psicoterapie portino a risultati quantificabili in termini di “ generale benessere percepito” e non solo di maggiore “comprensione” delle cause del disagio. Il definitiva molti interventi psicoterapici danno comprensione senza arrecare sollievo. Questi pazienti spesso appaiono sfiduciati, oltre che sofferenti, con conseguente cronicizzazione dei sintomi.

La terapia integrata di gruppo centrata su mindfulness e coping, oltre alle caratteristiche di tutti i gruppi psicoterapici (rispecchiamento, solidarietà, linguaggio comune, etc.) presenta caratteristiche psicagogiche . Per modificare  i propri schemi mentali abituali disfunzionali, è necessario, infatti, a nostro avviso, un vero e proprio “riaddestramento” della mente. Per questo intervento psicoterapico, si può utilizzare l’espressione di  psicoterapia integrata, in quanto vengono utilizzati metodi e tecniche, tra di loro integrati, derivanti dalle seguenti aree:

1)     Area della Psicoterapia Cognitiva;

2)     Area della  Mindfulness;

3)     Area delle Tecniche Immaginative;

4)     Focusing.

   La  terapia cognitivo-comportamentale, come è noto, è molto orientata al qui ed ora: anche se le origini di alcuni "schemi patologici" intrapsichici e/o relazionali vanno ricercati nel passato, gli ingredienti attivi del cambiamento sussistono nel presente.

L’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale è stata studiata più ampiamente di qualunque altro indirizzo  psicoterapico. Questo indirizzo ritiene, tra l’altro, che i sintomi psicopatologici siano attribuibili prevalentemente alle modalità con le quali i soggetti imparano, a partire dall’infanzia, a gestire il proprio ambiente, a modulare l’umore e ad “interpretare” gli eventi quotidiani. Questo indirizzo psicoterapico prevede una certa direttività del terapeuta;  la collaborazione tra terapeuta e paziente tende al raggiungimento di scopi ed alla soluzione di problemi; la terapia spesso è breve e/o  a tempo definito; presuppone che gli stati emotivi ed i comportamenti siano influenzati dal modo di pensare (da qui l'importante lavoro sui pensieri automatici).

Questo indirizzo psicoterapico considera inoltre molto importante l’impegno attivo del paziente e quindi il suo coinvolgimento attraverso i “compiti a casa” (aspetto psicagogico) fornendo allo stesso l'opportunità di produrre dati, di esaminare i propri pensieri ricorrenti e di mettere in pratica e sperimentare le alternative consigliate. Non si formulano, in linea di massima, interpretazioni dei fattori inconsci.

Questo modello psicoterapico, a differenza di quello psicodinamico, risulta alquanto integrabile con altri modelli.

   La meditazione, che da alcuni anni, in Italia ed all’estero, è approfondita in ambiti clinici, (vedi: G. Pagliaro, M. Epstein, F.Giommi, M.Linehan, J. Kabat-Zinn, etc.) tende a rafforzare la presenza mentale (mindfulness) (Io-autosservante della psicologia occidentale). Come è noto, la mancanza o carenza dell’Io auto-osservante è un aspetto della debolezza dell’Io, presente in tutti i disturbi di personalità, specie in quello borderline. Questa mancanza o carenza porta ad un uso eccessivo di meccanismi proiettivi con una “confusione fra ciò che è  dentro e ciò che è fuori, e nel modo in cui il paziente esperisce le sue interazioni con il terapeuta” (O.Kernberg).

La presenza mentale, coltivata attraverso la meditazione, favorisce sia la “stabilizzazione” della mente, sia il graduale  superamento degli schemi mentali disfunzionali abituali. Inoltre aiuta il paziente a ridurre la propria  “ruminazione mentale depressiva” presente in moltissimi disturbi (Asse I e Asse II del DSM IV) .

 Come si è detto, il concetto di presenza mentale è assimilabile, sia pure in parte, a quello di Io osservante e/o auto-osservante della psicologia occidentale. Il rafforzamento della presenza mentale ci consente di non lasciarci coinvolgere subito dagli impulsi nascenti e quindi dagli schemi abituali disfunzionali derivanti prevalentemente dalle nostre difficoltà infantili.

Secondo M. Epstein, psicoanalista ed esperto di meditazione, il vissuto della “continuità d’essere” posto da D. Winnicott alla base di uno sviluppo armonico della psiche (sviluppo del “vero sé” e non creazione di un “falso sé”) coincide con la dimensione di esperienza cui conducono gli stati meditativi. Winnicott  ha descritto in maniera chiara i modi in cui ci chiudiamo, assecondando le richieste genitoriali che nascono dall’ansia dei genitori anziché dai bisogni del bambino. possibile pertanto “riaddestrare” l’Io a riprendere contatto con il vero sé attraverso la presenza mentale rafforzata dalla meditazione, con la conseguente possibilità di trasformare la sofferenza modificando il modo di rapportarci ad essa.

   Le tecniche immaginative (o di visualizzazione) sono utilizzate nella terapia comportamentale, nella terapia della Gestalt, nella Programmazione Neurolinguistica (PNL), nel sogno da svegli guidato di Desoille, nella psicosintesi di Assagioli, nella recente terapia strategica di G. Nardone, etc., e rappresentano un utile strumento per il fronteggiamento di molti sintomi e sindromi  dolorosi (attacchi di panico, alcuni disturbi somatoformi, disturbi ossessivi, etc) .

Le immagini mentali (la mente pensa per rappresentazioni visive) coesistono con il pensiero logico o discorsivo. Le immagini mentali rappresentano una forma di pensiero utilizzato per stabilire un forte contatto con la nostra realtà oggettiva interiore. L'utilizzazione delle immagini mentali può essere insegnata. Le immagini vengono prima sviluppate con l'aiuto del terapeuta e successivamente approfondite e sperimentate "a casa". Le tecniche immaginative possono essere utilizzate sia per depotenziare gli schemi disfunzionali abituali sia per far emergere nuovi schemi sani e funzionali a vissuti e relazioni più soddisfacenti ed adattivi.

   Il Focusing è un metodo integrabile con tutti o quasi gli indirizzi psicoterapici;  tende al conseguimento di un livello profondo di consapevolezza di tipo psicocorporeo. Attraverso questo metodo possiamo ascoltare i segnali e le sensazioni del corpo e comprenderne i significati.

Il metodo del Focusing o Focalizzazione può essere sia utilizzato per scopi terapeutici che per favorire il benessere psicofisico: serve a gestire le emozioni quando queste sono particolarmente dolorose e “travolgenti”, serve a superare dei blocchi emotivi nella vita di tutti i giorni e/o durante una psicoterapia, risulta efficace per accrescere la consapevolezza  rispetto a ciò che sentiamo e desideriamo,  aiuta a superare le dipendenze e ad aumentare l’accettazione di se stessi. Come si è detto, il Focusing si rivolge alla saggezza del corpo e può essere praticato sia a livello individuale, sia in gruppo; è quindi un metodo particolarmente adatto in una terapia di gruppo centrata su mindfulness e coping.

Come si è affermato precedentemente, molti interventi psicoterapici individuali o di gruppo, anche lunghi, aiutano il paziente a vedere i propri schemi di comportamento disadattivi, ma spesso non forniscono gli strumenti per il loro superamento e per l’accettazione profonda di se stessi. Il metodo psicoterapico integrato proposto fornisce i mezzi per quella che Freud chiamava l’”elaborazione”, e pertanto può essere utilizzato anche dopo una psicoterapia che possa definirsi “riuscita” rispetto alla comprensione dei propri “vuoti” e conflitti, ma non efficace rispetto ad una effettiva modificazione di vissuti e comportamenti  dolorosi e disfunzionali.

Attraverso un  “riaddestramento” della mente, si può pervenire ad uno sviluppo delle facoltà mentali tale da rendere possibile l’elaborazione descritta da Freud. Spesso invece una psicoterapia si ferma ad una, sia pur corretta, interpretazione dei ripetitivi comportamenti patologici del paziente, senza una profonda esperienza diretta delle emozioni, dei pensieri emotivi o dei residui fisici dei pensieri emotivi in cui si è rimasti bloccati (importante a riguardo, ad esempio, il lavoro sulle sensazioni corporee legate alla  rabbia utilizzando il Focusing  e/o la meditazione terapeutica).    

I differenti metodi e tecniche proposti vanno, ovviamente, integrati e non semplicemente giustapposti, pervenendo ad un intervento psicoterapico unitario, ad una struttura globale che permetta di capire e di predire il cambiamento determinando la scelta di questa o quella procedura terapeutica. L’intervento deve, in definitiva presentare una  elevata coerenza interna.

 L’esperienza dell’ultimo gruppo a tempo definito centrato sul coping presso il DSM   (anni 2007-8)

Sin dall'inizio è stato comunicato ai pazienti che il gruppo terapeutico proposto sarebbe stato "a termine" (16 sedute; durata della seduta: un'ora e mezza). Il gruppo si è tenuto il giovedì con cadenza settimanale (in qualche caso, per motivi contingenti, il gruppo è stato posposto di una settimana). Possiamo parlare di gruppo interdistrettuale (con possibilità, cioè, di accesso da parte di pazienti provenienti da tutte le quattro aree territoriali del DSM). Anche  in questo caso si è trattato di un gruppo “disomogeneo”, con pazienti molto diversi tra di loro, per età, e, specialmente, per patologia. I pazienti sono stati dieci (numero "ideale" per tutti i gruppi terapeutici, ma in particolare per questo tipo di gruppo), di età variabile dai 24 ai 68 anni, con una forte prevalenza di donne (otto), come si verifica molto spesso sia nei servizi pubblici che nel privato.

Rispetto alle diagnosi, il gruppo è stato decisamente disomogeneo: sei disturbi di personalità di cui uno molto grave, e quattro disturbi dell'area nevrotica (ansia, depressione e disturbi somatoformi).

Tutti i pazienti hanno completato il ciclo dei previsti sedici incontri; si sono tutti sforzati di partecipare al maggior numero di sedute, cercando di superare difficoltà lavorative, di salute, familiari, etc.

Come è descritto più avanti  è stata effettuata una verifica dell'efficacia dell'intervento terapeutico,  attraverso la somministrazione dell'HSCL-90 prima dell'inizio degli incontri ed alla fine degli stessi. stato inoltre somministrato alla fine del lavoro di gruppo un questionario (anonimo) sulla "patient satisfaction".

Questionario di valutazione del gruppo terapeutico da parte degli utenti

La soddisfazione del paziente nei confronti dei Servizi di salute mentale è diventata, negli ultimi vent’anni, nei paesi anglosassoni, un elemento di crescente importanza sia per quanto attiene alla valutazione dell’efficienza  degli interventi, sia per la valutazione dei risultati terapeutici. L’enfasi posta sulla soddisfazione del paziente deriva, in quei paesi, dal fatto che da anni i servizi pubblici e privati sono in forte competizione tra di loro e quindi appare davvero importante un positivo giudizio del paziente rispetto ai propri vissuti, ai risultati delle terapie, a come si è stati trattati, etc.

Con Lebow (1982) possiamo definire la soddisfazione del paziente come: “ la misura in cui il trattamento soddisfa i bisogni, le aspettative ed i desideri dell’utente”.

Tra i metodi utilizzati per valutare il grado di soddisfazione dell’utente, il più comune è il questionario.

Abbiamo, per il gruppo in questione, utilizzato il Genaral Satisfaction Questionnaire (GSQ- Huxley e Mohamad, 1991), che misura, oltre alla soddisfazione generale, anche quella per l’aiuto ricevuto. Il questionario utilizzato è stato opportunamente modificato per adattarlo alle caratteristiche dell’intervento sul quale stiamo riflettendo.

Hanno risposto al questionario, che, come si è detto, è anonimo, 9 dei 10 pazienti che hanno partecipato alla terapia. Il questionario è stato somministrato alla fine dell’ultimo incontro.

Questionario sulla “patient satisfaction”

Domanda n. 1 “In che misura sei rimasto soddisfatto/a da questa terapia di gruppo?”                                                                                                               

-molto soddisfatto=50%; soddisfatto=37%; insoddisfatto=0%; molto insoddisfatto=0%

Domanda n. 2 “L’esperienza terapeutica che hai vissuto, ti ha aiutato/a ad affrontare con maggiore efficacia i tuoi problemi ?”

 

-si, mi ha aiutato molto=62%; si, mi ha aiutato un po’=37%; no, non mi ha aiutato=0%; no, mi sembra che abbia peggiorato le cose=0%

Domanda n. 3 “Se un tuo amico avesse bisogno di un aiuto simile al tuo, gli raccomanderesti di partecipare ad un gruppo come questo?”

-certamente si=50%; probabilmente si=50%; probabilmente no=0%; certamente no=0%

Domanda n. 4 “Come ti sei sentito/a accolto/a e seguito/a dal terapeuta e dall’osservatore ?”

-in maniera molto soddisfacente=75%; in maniera soddisfacente=25%; in maniera insoddisfacente=0%; in maniera molto insoddisfacente=0%

Domanda n. 5  “Quale  prevalente effetto la terapia di gruppo ha avuto riguardo ai tuoi problemi?” (sono possibili due risposte)

-maggiore consapevolezza=23%; maggiore autoaccettazione= 23%; maggiore capacità nell’affrontare le difficoltà=38%; maggiore attitudine nell’ascolto=15%

Domanda n. 6 “Ritieni che il numero di 16 incontri sia stato adeguato?”                                                                         

 

-si, gli incontri sono stati sufficienti=0%; no, sono stati pochi=0%; no sono stati troppi=0%; sarebbe utile un nuovo ciclo di incontri dopo alcuni mesi=100%

Domanda n. 7 “Quali delle modalità di intervento proposte e sperimentate nel gruppo ti sono risultate più utili rispetto ai tuoi problemi ?”

-il lavoro con le “schede cognitive”=14%; focusing=21%; meditazione terapeutica=57%; tecniche immaginative=7%

            Come si vede, la soddisfazione dei pazienti è stata davvero elevata.

Ulteriori riflessioni

Dall’andamento di questo gruppo a tempo definito centrato su mindfulness e coping, si possono inoltre dedurre alcune importanti considerazioni: è fondamentale, specie per i pazienti gravi, come i pazienti borderline, un lavoro di motivazione prima dell’inizio del lavoro gruppale. Il paziente deve sapere che questa terapia comporta per lui un impegno;  è pertanto fondamentale sia motivare il paziente, sia  chiarirgli   le caratteristiche del lavoro terapeutico che sarà svolto nel gruppo; ciò vale specialmente per quei pazienti che si sono sottoposti a precedenti interventi di tipo psicodinamico e pertanto non direttivi, in cui il lavoro, almeno quello “formale” e consapevole, è rappresentato prevalentemente, se non esclusivamente, dalle sedute psicoterapiche.

Come si è già detto, i risultati più interessanti e lusinghieri si ottengono, in linea di massima, con quei pazienti i quali abbiano già svolto un pregresso lavoro psicoterapico individuale prima di iniziare la psicoterapia di gruppo a tempo definito sopra descritta:  questi pazienti risultano infatti più consapevoli, sia pure, come spesso capita,  solo a livello di “pensiero discorsivo”, e possono più agevolmente impegnarsi nel fondamentale e sicuramente "innovativo" compito del  “riaddestramento” mentale.

 Pur convinti che questo tipo di gruppo possa funzionare sia con pazienti portatori di differenti patologie che con pazienti portatori di patologie uguali o affini, si ritiene utile, anche a scopo di approfondimento e di ricerca, sperimentare in futuro anche gruppi di pazienti omogenei (ad es. gravi disturbi di personalità), opportunamente informati e motivati.

Rispetto alle modalità terapeutiche, riteniamo inoltre necessario lavorare per conseguire una sempre maggiore coerenza interna nell'integrazione delle differenti tecniche utilizzate.

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                                                      Dr. Emanuele NUTILE

                                                      Psicologo, Psicoterapeuta, responsabile delle

                                                      “Attività psicologiche innovative” DSM ASL RomaB         

   

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