“E
come Efesto udì la parola strazio del cuore, andò
alla fucina, nel cuore profondo, meditando vendetta e nel sostegno
pose la grande incudine e batteva le catene, da non potere sciogliere
o infrangere, perché restassero presi. Poi come ebbe
finito la trappola, sdegnato contro Ares, andò nella
stanza, dove era il suo letto, e ai sostegni del letto attaccò
le catene in cerchio da tutte le parti, e molte altre dall’alto
dal soffitto pendevano, sottili come fili di ragno, e nessuno
avrebbe potuto vederle, neppure i numi beati: con grande astuzia
erano fatte”. (Omero)
Nel racconto mitico possiamo cogliere alcune metafore ed
immagini che appartengono alla visione del disturbo borderline
di personalità, che si colloca non più solo
ai confini tra la nevrosi e la psicosi, ma come un terzo campo
con una sua dignità e specificità psichica oltre
che psicopatologica.
Nel racconto il tema dell’abbandono, della separazione/unione
ed in fondo della rabbia accanto all’amore, sono aspetti che
costellano la vita e la visione del mondo del borderline.
Su questo sfondo mitico, il mio commentare parla dall’esperienza
clinica e degli approfondimenti epistemologici della psicologia
analitica, poiché se è vero che per “la nevrosi
è in relazione al disagio del tempo” (1), allora la
presenza crescente di tale disturbo potrebbe rappresentare
il significato del nostro tempo storico. Capire, comprendere
e curare comporta una attenzione anche dell’Anima mundi
sempre più al confine tra mondi diversi e non più
con una precisa e chiara collocazione di identità.
Per questo la cura dell’Anima e delle distorte relazioni
col reale di cui soffrono i pazienti, presuppone un cambiamento
di rotta della visione della psicoanalisi che tende ad affiancare
ad un lavoro interiore anche una attenzione alla rete sociale
sul territorio, soprattutto con i pazienti istituzionalizzati.
L’invalidità di Efesto, colui che è claudicante,
riporta al rapporto con la terra, la solidità e la
stabilità, quella piattaforma sicura, compatta e unita
a cui ci richiama l’archetipo della Madre nelle sue funzioni
di sostegno, nutrimento ed amore.
Nella storia clinica del borderline, un trauma forse reale,
rimosso ma fortemente fantasticato ed investito narcisisticamente,
è avvenuto: il nodo d’amore si è sciolto, non
ha retto all’impatto con gli eventi personali ed archetipici.
Pertanto si è creata una breccia, un varco nella personalità
innestando il passaggio verso una condizione in cui il primitivo
e l’arcaico hanno aperto le porte delle zone oscure e della
distorsione tra fantasia e realtà, della sofferenza
impotente con la nascita di un “amore liquido” (2).
La menomazione fisica di Efesto è anche una vulnerabilità
psichica, perché qui la manifestazione del corporeo
e del mentale viene vista in una dinamica psicosomatica di
unione degli opposti; non la completa assenza del contatto
con la terra, ma una presenza a metà, determinando
nel borderline scissione tra lo spirito e la materia, il reale
ed il fantastico, dando spazio e consistenza a quella area
intermedia che a che fare con il concetto di ”corpo sottile” (3). Questo campo interattivo contiene la sfumature dello
psichico e del fisico, qui vengono vissute esperienze liminali,
ovvero archetipiche vere e proprie iniziazioni all’esperienza
fenomenica del numinoso e dello straordinario.
La vulnerabilità del dio Efesto sul piano delle relazione
umane è compensata inoltre, a mio avviso, dalla sua
permanenza nella fucina sotto la montagna dell’Etna, vero
e proprio luogo sacro e spirituale dove il rapporto col fuoco
diventa centrale nella costruzione delle armi e degli oggetti
di bellezza, ovvero l’unione di Ares con Afrodite.
Nella dimensione del borderline la vulnerabilità relazionale,
l’essere zoppicante nei rapporti umani, vivere l’esperienza
della separazione, l’abbandono e la ferita dell’amore primario,
coesistono accanto ad una altra dimensione fatta di creatività,
di arte, di oggetti che possono essere deputati alla guerra
e alla distruzione, come avviene nel lavoro di Efesto.
Uno dei punti focali della visione del mondo del borderline
è proprio la scissione tra gli opposti che vengono
estremizzati quasi che il soggetto è come se
vivesse e sperimentasse una condizione di aggressività
derivante dalla sua incapacità a relazionarsi, avendo
il terrore panico nella sua totale apertura di autenticità
verso l’altro. Tutto ciò accompagnato dal timore di
rivivere il trauma originario impregnato di fantasie arcaiche
e mutilanti, espressione di un Sé che è rimasto
incapsulato in un processo psicotico.
Nel racconto di Omero assistiamo ad un altro aspetto importante
che può essere utile per il nostro lavoro che all’inizio
potrebbe lasciarci alquanto perplessi e meravigliati: Afrodite,
la dea della bellezza e della sensualità è moglie
del dio Efesto, sicuramente non bello e rinchiuso sotto la
montagna. Cosa fa la bellezza sull’Etna e come vive tale esperienza
Efesto il claudicante?
Forse sono domande che richiedono un pensiero analogico
e simbolico dal momento che il compito di uno che fa “un
mestiere difficile” così come disse un paziente
borderline sulla porta della stanza analitica al termine di
una seduta durata solo un breve tempo, è quello di
potere usare le capacità immaginativa ed artistica
per sondare terreni inesplorati e aggirarsi tra spazi sconosciuti
e privi della coerenza dell’Io.
Come Efesto, il paziente borderline vive un’esperienza inflattiva
rispetto alla dimensione dell’amore, vero nodo cruciale di
tale condizione, archetipo dell’unione: “soffrono di una angosciosa
incapacità di incarnare questo principio di unione:
il paziente vuole sperimentare gli aspetti oscuri e disordinati
della coniunctio con l’esclusione delle sue qualità
ordinatrice e generatrice di vita” (4).
La relazione con l’Amore, pertanto piuttosto che essere
vissuta a livello della relazione personale/umana, spesso
viene impregnata di aspetti archetipici e numinosi non avendo
potuto vivere nell’infanzia “l’esperienza oceanica” (5), ovvero
il rapporto profondo e coinvolgente con la madre reale, così
fondamentale per un sano sviluppo psicologico nella strutturazione
degli stati precoci nella relazione madre/figlio. Nel nostro
caso invece è venuta meno. In tale rapporto il nutrimento
e il supporto di questo oceano, è stato carente, ma
non assente (come se non ci fosse stata), invece è
stato sostituito dal numinoso: non la madre personale nella
sua interezza ma esperienze e/o eventi e/o immagini numinose,
con cui la coscienza del giovane Io è stata costellata.
Così le parole di una donna in analisi: “non ricordo,
non so se è accaduto veramente oppure è solo
frutto della mia fantasia; avevo quattro anni e ho una vaga
immagine di essere appoggiata al muro; ero con un vestitino
colorato, in veranda, e una mano di un adulto mi ha sfiorato.
Quando penso a ciò sono terrorizzata, bloccata, ho
il panico, ma soprattutto non capisco se è vero o è
solo una fantasia. E se fosse vero cosa dovrei pensare di
quella mano che conosco? Non riesco a vivere pensando a quella
scena!”
Esperienze, vissuti, percezioni, sfumano nell’orizzonte dell’oceano
affettivo, perdono consistenza, nitidezza e chiarezza del
ricordo, oppure acquistano le sfumature di un colore incerto
o fortemente inflattivo, per cui non è possibile dire
“... e il naufragar m’è dolce in questo mare...” (6).
L’esperienza con la madre reale pertanto, per una complessità
di fattori interagenti tra di loro, ha determinato nello sviluppo
psichico di tali soggetti un accumulo eccessivo di emozioni
arcaiche e terribili, rimanendo irretiti in livelli psichici
di una intensità che è strettamente connessa
ai grandi temi della vita (l’amore, la morte, l’unione, il
dolore) e che fa del paziente borderline un caso difficile
ma anche affascinante per gli psicoanalisti.
Il tema dell’amore, costella il suo opposto, l’odio, lo
Stige, il fiume sacro sul quale giuravano gli antichi dei,
perchè l’Anima di questi pazienti è seriamente
ferita, quasi sconfitta da un trauma di impulsi arcaici e
di menzogne che perpetua incessantemente per tutto l’arco
di una vita.
Ritornando alla storia mitica vediamo che è il Sole
che riferisce ad Efesto “l’abbraccio in amore” (7) tra Afrodite
ed Ares: ancora una volta è l’accecamento della coscienza
apollinea che spesso tradisce e svela le vulnerabilità
delle passioni segrete, permettendo di fare luce sugli aspetti
più oscuri del Sé.
Allora Efesto spinto dalla vendetta e dalla gelosia si mise
all’opera nella costruzione di una rete che impigliasse gli
amanti. Il tema della rabbia, della vendetta, ma oserei dire
della gelosia mischiata all’invidia è l’altro polo
oscuro del Sé che costella il processo di individuazione
in tali pazienti.
Non a caso “l’invidia, è una condizione che deturpa
l’oggetto d’amore dell’altro” (M. Klein) innescando il processo
della rovina, del guastare, fissando il soggetto nella condizione
schizoparanoide così importante nell’insorgenza dei
processi psicotici. L’invidia, è un sentimento diverso
dalla gelosia, che appartiene quest’ultima più all’area
edipica: ma spesso nel disturbo di personalità questi
due sentimenti risultano mescolati con una difficoltà
nel dargli una giusta collocazione, come invece avviene in
altre aree psicopatologiche.
Efesto è spinto dalla gelosia verso Afrodite ma anche
dall’invidia verso Ares: non menomato, bello ed affascinante,
signore della guerra, anche se è nella fucina di Efesto
che vengono create le armi anche per Ares.
Ma Ares in questa fase della storia, poiché aveva
spiato Efesto, mentre se ne andava a Lemno, corse da Afrodite:
qui l’aggressività si riposa, il riposo del guerriero,
l’aggressività si unisce con amore, attuando la coniunctio
di cui Efesto è incapace. Occorre sottolineare che
quando si è incapace di vivere una situazione così
particolare allora il tentativo è di ingabbiare tutto,
coprire, incatenare, legare, stingere, soffocare, non favorire
il movimento psichico così tanto caro al dio Ermes
e anche a noi psicoanalisti.
Efesto, come i nostri pazienti è invidioso della capacità
di Ares di abbandonarsi all’amore, di riunirsi nell’amplesso,
depositare le armi e concedersi ad Afrodite: questo consente
all’aggressività di spogliarsi degli orpelli e di essere
nudo nell’incontro con amore; di questo Efesto è invidioso,
poiché è questa una esperienza a cui non è
dato avvicinarsi.
La gelosia per Afrodite innesca il tema del tradimento e della
fiducia, nonché la ferita di un amore primario vissuto
in maniera particolare, non potendo abbandonarsi all’altro
vivendo la separazione senza angoscia. In Efesto il mescolamento
di questi due stati d’animo porta alla visualizzazione dell’unione
dell’amore e dell’aggressività: di fronte a tale immagine
la vista del borderline non regge, l’unione non può
essere accettata e vissuta se non attraverso gli aspetti oscuri,
distruttivi e demoniaci del Sé.
L’unica modalità che il paziente conosce di fronte
all’amore, vissuto come condizione liminale, è quella
di intrappolarlo nella rabbia, attivando sentimenti di onnipotenza
e di inferiorità rimanendo continuamente lui stesso
prigioniero degli aspetti oscuri ed arcaici. In questo senso
la storia di Omero ci permette di vedere la complessità
della visione del mondo del borderline, costellando l’Amore
e l’odio, l’invidia e la gelosia, l’unione e la separazione
e di dare voce, corpo ed immagine a tutto ciò che spesso
non appare e che eppure esiste, fuoriesce non sempre ma a
tratti, sotto la spinta di eventi e fattori stressanti che
la vita, il mondo del lavoro, delle relazioni umane e sociali
si presentano nell’arco della vita. Quando questi eventi esterni,
attivano le antiche dinamiche interne, per un sorta di combinazione
di vari fattori, allora l’antico dramma ritorna alla luce,
si mette all’opera e l’acting out diventa comportamento di
vita fino ad arrivare alle estreme conseguenze, di passare
da una Comunità alloggio al ricovero presso il servizio
psichiatrico di diagnosi e cura. Questo è successo
ad un grave paziente affetto da un disturbo borderline: la
notte si alzava preparando da mangiare ai suoi compagni di
stanza, sentendosi onnipotente nel servire gli altri ma incapace
di nutrire amorevolmente le proprie vulnerabilità,
le relazioni umane, il mondo del lavoro, il rapporto con gli
altri, la stabilità nell’assunzione della terapia farmacologica,
il rispetto dell’autorità.
La storia raccontata di Omero ci riporta al tema della vicinanza
e dell’allontanamento in connessione con la scoperta, dell’esplorazione
di un nuovo stato: è la stessa condizione che si trova
a vivere il bambino rispetto ai processi di separazione/riavvicinamento,
così importanti nello sviluppo psicologico. Nella fase
della scoperta e dell’allontanamento dalla figura materna,
l’esplorazione del mondo diventa un atto creativo che tende
a ristrutturare completamente la gestalt percettiva del tempo
e dello spazio, dal momento in cui entra in contatto con la
dimensione del numinoso, ovvero lo stato di energia che “afferra
e rapisce il soggetto” (9).
In tale contesto la funzione della madre personale è
proprio quella di aiuto nel disordine: “Il giovane Io è
fragile, necessita di aiuto. La figura materna ha un potente
ruolo di mediatore in un processo archetipico e può
usare la sua capacità sia per sviluppare l’individuazione
del bambino sia per minarla gravemente” (10).
Il paziente borderline di fronte agli eventi numinosi, viene
come nel racconto mitico, catturato, ingabbiato, terrorizzato,
col panico di esserne sopraffatto lui stesso e gli altri amplificando
i processi distruttivi e letteralmente non vedendo gli aspetti
positivi del processo di individuazione.
Questo meccanismo è alla base dei processi di unione-separazione
del borderline, dove tale condizione viene equivocata e confusa
con il concetto di fusione, dal momento che gli stati della
mente del paziente sono dominati da un gioco di fusione e
di distanza, in cui le modalità inconsce devono condurre
al tentativo di mantenere contemporaneamente insieme la separazione
e la simbiosi, determinando nel terapeuta e negli operatori
uno stato di inquietudine e di smarrimento.
Se l’unione “è una interazione tra due persone
nelle quali entrambi sperimentano un cambiamento particolare
nel flusso di energia tra di loro, la fusione invece è
caratterizzata da un indifferenziazione dei processi che avvengono
tra due persone” (11); quest’ultima viene utilizzata soprattutto
come modalità di controllo dell’altra persona per negare
la separazione e l’angoscia di morte nonché accettare
l’autonomia e la diversità dell’altro. È quello
che è avvenuto con una giovane paziente che si lamentava
del fatto che non conoscendo niente della vita personale del
terapeuta impediva di darsi fiducia, entrando in una lenta
e graduale dinamica in cui entrambi eravamo intrappolati,
incatenati ad una condizione di stagnazione e di inibizione
della libido finché, anche con l’aiuto della dimensione
creativa non sono nati i primi germi dell’unione e non della
fusione.
Il comportamento cosciente e le verbalizzazioni di questi
pazienti spesso tendono, con modalità di adattamento
e di compiacimento, a coprire le autentiche esigenze all’interno
della relazione fatta di stati arcaici di fusione e di terrore
nell’abbandono, instaurando una sorta di compulsività
psichica che ondeggia tra due tendenze opposte (vicino/lontano)
che non trovano una sintesi nella funzione trascendente con
la creazione di un terzo elemento: la funzione d’Anima.
Spesso infatti nel lavoro analitico capita di assistere
a rapporti in cui si crede che ci sia l’unione ma in fondo
poi ci si accorge che dietro a tutto ciò c’è
uno stato di fusione e di indifferenziazione: la relazione
diventa vicina sul piano della coscienza ma distante dal punto
di vista dell’inconscio e il Sé non riesce a liberarsi
dalle prigionie della simbiosi attivando l’immagine dell’
ermafrodito come terza dimensione che unisce gli opposti.
Il Sé è senza vita, anemico, privo del “soffio
vitale dell’anima, del coinvolgimento relazionale” (12) non
riuscendo a schiudersi come un fiore di loto o un mandala
che contiene, racchiude gli opposti e con un atto creativo
crea un campo di trasformazione e di guarigione: un sogno,
una relazione d’amore, un inserimento lavorativo, un atto
religioso.
Allora si rimane avvolti nella ragnatela della disperazione
e del cronico sentimento di impotenza che affligge questi
pazienti nonostante lo sforzo che fanno per vivere.
Non sappiamo se fu in quell’incontro d’Amore, ma dal racconto
mitico conosciamo che dall’unione tra Ares ed Afrodite nacque
una giovane fanciulla dal nome Armonia.
In tale cornice possiamo collocare la rabbia di Efesto,
uno sforzo immaginativo, artistico, utilizzando il senso del
vedere, la vista, come strumento per comprendere l’invisibile,
ovvero il numinoso. La visione del mondo del borderline si
colloca lungo la scia di una incapacità a cogliere
l’immagine dell’unione cosciente che spesso in analisi diventa
timore: si tende con acting out ad abbandonare il campo
relazionale; la paura e il panico di soffrire, il timore di
perdita del controllo fusionale dell’oggetto d’amore, l’impotenza
e la frustrazione intollerabile a rimanere nel letto immaginale
con l’analista, attivando la fantasia panica di non potersi
più sciogliersi dal legame con l’altro, dal momento
che con la parole di una paziente “Perché debbo
legarmi a lei e alla nostra relazione? Ma perché noi
abbiamo una relazione? Che cosa ne so io di quello che succede
tra di noi se mi lascio andare? Chi mi assicura che lei non
mi prenda in giro e se ne approfitta di me come hanno fatto
tutti quanti gli altri durante la mia esistenza? Lei mi parla
sempre di questo inconscio, ma io non lo vedo, e quando lei
parla io non la vedo, qua nella mia pancia non la vedo”.
Il borderline è sospeso nel limbo, in una condizione
perenne di passaggio senza mai poter sperimentare con la sua
totale autenticità l’esperienza spirituale di grande
carica energetica di cui è portatore e che aspira a
condividere con l’altro.
Il rito di passaggio non avviene poiché non si riesce
a cogliere il valore prospettico del Sé, percepito
invece solo nei suoi aspetti demoniaci, caotici e di fughe
nella disperazione o nella visione malinconica che diventa
la carta d’identità per un’ anima anestetizzata.
Rivivere nell’attacco al legame antichi traumi ancestrali,
ma soprattutto il timor Dei ovvero l’incapacità,
ma sperimentare attraverso l’incontro uno stato liminale (limen,
soglia) in cui la coscienza è costretta a proiettarsi
verso l’ignoto, attirando energie trasformative, che diano
senso e significato al futuro.
Stare al confine, ai margini, dentro e fuori contemporaneamente,
vicino e lontano diventa una visione di essere al mondo: le
relazioni vengono sfiorate e si rimane onnipotentemente e
narcisisticamente da soli.
Così si esprimeva un uomo in analisi a proposito
dell’incontro con una giovane donna: “Sa, ho conosciuto
una donna, non significativa, né insignificante, non
bella, né brutta, abbiamo fatto un giro in macchina,
abbiamo passeggiato, ho tirato fuori un libro di poesie e
mi sono messo a leggere. Poi in macchina lei mi raccontava
che tutte le sue storie duravano circa sempre un anno: allora
io ho incominciato ad aprirmi: lei allora si è irrigidita
e si è chiusa. Poi mi ha parlato di poesie, di letteratura,
si è sciolta, ma io già non c’ero più,
ero in un altro mondo, non so dove. L’ho accompagnata, lei
ha chinato il capo forse si aspettava un bacio. Mi ha sorpreso
tutto ciò, questa delicatezza china del capo, le ho
dato un bacio sulla guancia e sono andato via… Non ho mai
incontrato una donna intelligente; anzi forse qualcuna, una,
due,… di uomini nessuno…”
Penso che questo incontro fugace, veloce, permetta di vedere
bene l’immagine della vicinanza e della lontananza, dell’aprire
e del chiudersi e di fronte allo scioglimento dell’altro,
non c’è sintonia, ascolto profondo ma allontanamento
non autistico o schizoide, ma tremore e timore dell’unione,
rimanendo legati al proprio passato e ad una visione del mondo
di non accettazione della diversità dell’altro.
Così il frammento di storia di una giovane donna
in preda alla rabbia verso il marito: “Per un attimo in
occasione del compleanno avevo pensato di fermare la macchina.
Ero scesa e mi stavo recando in una pasticceria per comprare
dei dolci e festeggiare… Ad un certo punto mi sono fermata,
mi ha assalito una forza di rabbia e di vendetta... Glielo
debbo far pagare… ero, smarrita, disorientata, non ero io.
A metà strada sono ritornata indietro, sono salita
in macchina, non ho comprato niente. Ritornata a casa... Eravamo
due estranei… tutto era normale… messi a letto in silenzio”.
La fragilità dell’incontro, la predominanza della rabbia,
la fuga nel mondo fantastico, la sorpresa di un capo chinato,
la scoperta dei propri arcaici sentimenti, fanno da cornice
ad incontri in cui predomina l’incapacità di immaginare,
di vedere, farsi vedere dall’altro;il racconto diventa afono,
le parole ammantate da una ingenuità infantile e la
tendenza a rimanere nell’oscurità del castello nonostante
tutto il male che si fa e che si riceve.
Di fronte a tale situazione il terapeuta ha una grande possibilità
che può prendere a prestito dal mito e dall’attività
creatrice che è la presenza e il comportamento del
dio Ermes.
Nel mito Efesto chiama a raccolta tutti, dei e dee anche se
queste ultime per pudore rimangono lontano, esprime la sua
rabbia, ma anche la sua abile arte creativa, accanto ad una
scena di imprigionamento. Vorrei sottolineare come dalla fenomenologia
dello zoppicare, ovvero da una situazione di vulnerabilità,
si possa attingere una maniera prospettica e individuativa:
Efesto è rimasto prigioniero della propria rabbia,
così come Ares e Afrodite sono rimasti prigionieri
del loro amore. La scena come in tutte le situazioni triangolari
è scissa e gli opposti per essere osservati e visti
hanno bisogno di un’altra polarità, di un terzo campo
o di un terzo occhio di antica memoria simbolica.
Quando si è intrappolati in una situazione di stallo
all’interno di una atrofizzazione degli opposti, la possibilità
di risoluzione risiede nella funzione trascendente, stimolando
l’attività immaginativa che superi tale dualismo e
sappia guardare da un terzo punto di vista il dramma della
lacerazione degli opposti: rabbia e amore, maschile e femminile,
spontaneità e rigidità, senex e puer,
vita e morte.
Così nel mito: “Venite a guardare ciò che
accade qui di ridicolo e obbrobrioso Osservate come si dimostra
la figlia di Zeus, Afrodite poiché io sono storpio:
esso ama il fatale Ares, perché è bello ed ha
i piedi regolari, mentre io zoppico. Ma nessuno ne ha colpa,
se non i miei genitori: non dovevano mettermi al mondo!” (13).
La voce terribile di Efesto che chiama a raccolta tutti gli
dei, punta l’accento sul ridicolo e sull’ indecoroso: la difettualità
è lo svantaggio psicosociale del disabile psichico,
nella relazione invidiosa verso il virile Ares, la sua ombra;
soprattutto il suo grido è rivolto alla colpa dei genitori
e del fatto di essere stato messo al mondo. Attraverso Efesto
possiamo cogliere l’occasione della scena dell’adulterio per
riflettere sui vari aspetti che risultano mescolati tra di
loro ed hanno una strategia inconscia nel mostrarsi: il deficit,
la mancanza parziale di solidità e di appoggio verso
il suolo della madre terra, così nel borderline è
presente una difettualità nel sostegno e nel completo
movimento psichico. Non può andare veloce, Efesto deve
andare lento: ma è proprio la sua lentezza che gli
dà la possibilità di essere un abile fabbro
nella fucina degli dei, secondo un altro racconto mitico,
creando la prima donna, Pandora.
Esiste inoltre una rabbia verso la sua condizione; “mi
sento in colpa di esistere; era meglio che non nascevo proprio…
non dovrei esistere” queste le espressioni che spesso
ascolta il terapeuta da parte del borderline ed Efesto esprime
anche la rabbia verso i propri genitori per non aver impedito
tale difettualità continuando a perpetuare un senso
di impotenza e di inferiorità... Efesto era stato abbandonato
dalla madre Era e scagliato dall’Olimpo nel mare e la rabbia
di Zeus lo aveva scagliato per la seconda volta sulla terra
di Lemno, quando lui aveva preso le difese della madre, ribellandosi
alla scelte del padre.
In questo contesto allora l’amore, l’unione, non diventa un
puro atto sessuale, ma nel paziente borderline diventa una
aspirazione ad una vita spirituale e fisica, quando questo
livello di intensa intimità non viene sfiorato o vissuto,
allora la rabbia di esistere, la colpa verso il mondo genitoriale,
la vulnerabilità nella vita diventano aspetti oscuri
e tenebrosi, le gole profonde degli inferi in cui si adombra
lo Stige. Ma contengono anche al loro interno semi e veicoli
con i quali esprimere una visione del mondo inadeguata, esagerata,
ma fondamentalmente autentica: il bisogno di essere visto,
guardato, per quello che il soggetto sa e non riesce a mostrarsi
all’altro, inflazionato dai retaggi del passato ma anche da
forze archetipiche e dal numinoso.
Il tema del numinoso si affaccia con preponderanza nella
cura del borderline; la dimensione controtransferale nella
relazione diventa uno strumento da parte del terapeuta per
conoscere ed esplorare i vissuti personali ed archetipici
che gli attiva il paziente, confrontandosi con esperienze
che ricordano i riti di passaggio di antiche civiltà
primitive. Il contatto col numinoso, permette a Jung di anticipare
strategie e interventi clinici nella cura di tali disturbi
portandolo a dire: “o è una qualità di un oggetto
visibile o l'influsso di una presenza invisibile che causa
un particolare cambiamento nella coscienza… l’interesse principale
del mio lavoro più che al trattamento della nevrosi
è rivolto, piuttosto, all’approccio del numinoso. Il
fatto che l’approccio al numinoso è la vera terapia
e dal momento in cui si fa esperienza del numinoso, ci si
libera dalla maledizione della patologia. Perfino la malattia
stessa assume un carattere numinoso” (14).
La preghiera di rabbia che Efesto invoca è contemporaneamente
una richiesta rivolta al padre Zeus, il padre spirituale:
è il rapporto con l’archetipo del padre, che diventa
occasione di confronto e di scontro, nonché occasione
di contrattazione psichica. Un padre non presente alla scena
ma che alberga in dimore spirituali, che spinge poi il padre
delle profondità marine a confrontarsi con Efesto:
Poseidone farà da garante nel processo di liberazione
e di risoluzione del problema. La possibilità nella
cura del disturbo borderline, accanto ad altri interventi
presuppone la capacità da parte del terapeuta, (ma
direi anche della rete psicosociale di cura per quanto riguarda
i pazienti istituzionalizzati) di attivare un pensiero immaginale
che sappia guardare oltre, mostrando proprio al paziente un
iter progettuale complesso, articolato, con vari attori sulla
scena che soddisfano la molteplicità delle parti sane
e folli di cui si compone la propria storia.
La preghiera come invocazione è rivolta al padre spirituale
invitandoci a saper guardare a ciò che è all’origine
della sofferenza borderline: l’abbandono come trauma più
o meno reale, la distruttività, l’opportunismo del
materno e la rabbia del paterno, ovvero il tema genitoriale
in cui il paziente oscilla tra le due colonne portanti: il
femminile e il maschile.
È la cura e la terapia la possiamo mettere direttamente
in connessione con il dio Ermes che anche lui come gli altri
dei partecipa all’invito di Efesto alla grande visione del’unione
di Ares con Afrodite. Nel dialogo tra Apollo ed Ermes: “Apollo
chiese ad Ermes: “Ti piacerebbe giacere in simili catene con
l’aurea Afrodite?” E questi, di rimando: “Ah, se ciò
potesse accadere, sopporterei pure catene tre volte più
forti! Potreste guardarmi tutti voi, dei e dee perché
io giacerei felice con l’aurea Afrodite” (15).
Cosa significa sul piano immaginativo questo strano dialogo
tra Apollo ed Ermes che apparentemente sfugge alla comprensione
della mente? E come questo frammento di dialogo può
esserci utile nella cura e nella terapia? Intanto mi sembra
che Ermes, signore del commercio, del furto, dei ladri e dei
viandanti è messo ai crocicchi delle strade, ma è
anche psicopompo delle anime; messaggero degli dei e vero
archetipo delle connessioni psichiche e per Jung è
l’archetipo dell’inconscio.
Nel dialogo tra Apollo ed Ermes, due atteggiamenti si confrontano:
l’uno che prende le distanze, quasi che non volesse essere
coinvolto ed un’altra parte, (Ermes) che si sente visibile,
entra nell’intreccio e non ha timore o vergogna di farsi vedere
dagli dei e dee. Ermes entra nella rete senza rimanerne prigioniero:
poiché lui non è facinatore di reti ma attivatore
di immagini archetipiche, ci insegna a non letteralizzare
le fantasie e i comportamenti ma a cogliere immaginalmente
ed artisticamente le connessioni tra diversi aspetti paradossali
che si muovono lungo l’arco della vita.
La sua è una strategia che immagina sulle fantasie
sessuali, crea un ponte di collegamento tra il trauma reale
e le fantasie erotiche; entra e penetra in quel grande mistero
oscuro e spirituale che è la sessualità dandogli
non solo una connotazione fisica ma lo nutre con immagini,
metafore, analogie, emozioni che racchiudono l’antica tensione
del soggetto borderline a connettersi con aree numinose oltre
che umane. In questo senso Ermes è il signore ma anche
il protettore della patologia borderline; è al confine
tra stati mentali contraddittori distanti e vicini, e lui
è il più amichevole degli dei, servitore che
accoglie non ciò che è volgare ma ciò
che è indecoroso. In effetti nella scena di Eros e
Afrodite, non vengono messi in evidenza gli aspetti volgari
ma è costellato una condizione indecorosa della psiche
così pregnante nella visione del mondo borderline;
la gelosia e l’invidia, la rabbia, l’inganno, l’essere zoppo,
la colpa dei genitori, la separazione, il ridicolo, l’esistenza,
il mostrarsi al giudizio degli altri, vedere farsi vedere:
una dea che ha tradito e il divino che si è abbassato
nell’indecoroso umano.
Tutto questo permette a Ermes di essere lì presente:
è quello più adatto per dialogare, stimolando
l’immaginazione dell’istinto riflessivo del terapeuta e della
intera rete psicosociale a penetrare nella scena conservando
tutta la consistenza e la fugacità della sua attività
immaginativa. Poiché una cosa che risulti nota dal
lavoro clinico con tali soggetti è che la conoscenza
della dimensione controtransferale diventa strategia terapeutica,
chiave di volta per accedere, in certi momenti del lavorio,
al mondo del paziente senza nascondersi dietro interpretazioni
e concetti che sembrano note stonate nelle lunghe pause malinconiche
e terrorizzanti degli stati mentali sottostanti al caos e
al moto dell’anima del borderline: “È ampiamente riconosciuto
che il sogno di un paziente può accuratamente descrivere
aspetti comportamentali del terapeuta e persino aspetti delle
inconscie fantasie del terapeuta nei confronti del paziente” (16).
In questo senso allora l’abilità dell’arte terapeutica
e del lavoro psicosociale non deve essere sul modello di Efesto (colui che brilla durante il giorno), intriso di rabbia ed
inflazionati dagli aspetti negativi del Sé, ma partendo
da esso deve rifarsi ad Ermes colui che unisce i paradossi
e che contiene aprioristicamente l’unione degli opposti.
Ermes è una guida terapeutica nei meandri dei processi
psicopatologici collocandoli non solo nella sfera personale,
ma anche lungo una visione mitica poiché finché
non riusciamo a sintonizzarci ad accettare e vedere la parte
spirituale e numinosa del paziente, solo un lavoro sulle dinamiche
personali e familiari risulterà un’opera incompleta
e parziale. Nella misura in cui riconosciamo agli agiti sessuali
del paziente un valore prospettico, immettendoli lungo la
strada del processo di individuazione e non relegandosi compulsivamente
nelle aree rimosse dell’infanzia o della sessualità;
nella misura in cui riusciamo a lavorare sulla rabbia che
si ha verso Dio non riducendo tutto ciò ad una dinamica
col paterno (come ci fa capire Efesto nell’invocare Zeus)
ad un infantile bisogno religioso di essere rassicurato; nella
misura in cui alla sessualità e alle fantasie erotiche
non ci approcciamo con un atteggiamento moralistico ma intravedendo
nel dramma anche l’aspetto emotivo e individuativo di volere
unire gli opposti, allora la vera e autentica comprensione
del mondo borderline rimarrà sempre un caso difficile
non solo per il terapeuta ma per l’intera società.
Permettetemi di evidenziare come questo lavoro immaginale,
con i pazienti che vivono in strutture intermedie sul territorio,debba
penetrare e toccare le zone argillose e rocciose del sociale,
poiché una terapia dell’Anima non può
e non deve trascurare l’Anima mundi, il bisogno di
occuparsi anche di ciò che avviene nel reale e nell’esterno.
La presenza di una duplex figura di guida, sostegno,
permette di tracciare i confini in una età storica
di passaggio e di transizione, in cui è presente una
crisi nei valori individuali e collettivi.
Allora le immagini della stanza analitica, le scene di unione
debbono rimanere in parte ad appannaggio dello spazio individuale,
il vaso alchemico del contenitore della relazione terapeutica;
ma anche il sociale necessita di vedere, guardare, assistere,
dialogare, partecipare ai processi trasformativi della coscienza
individuale.
A maggior ragione il lavoro col paziente (mi riferisco a chi
lavora nell’istituzioni di cura) deve contribuire alla crescita
di un sociale, attingendo questo ultimo dalla dimensione archetipica
dell’immaginario della relazione, dei sogni e dell’inconscio
e contemporaneamente nutrendo esso stesso i limiti, le contraddizioni
di una relazione che non apre la finestra sul mondo reale
rimanendo intrappolato, come la scena mitica, nel narcisismo
del proprio amore, vero tallone d’Achille della psicoanalisi.
In questo modo allora Ermes, tenderà a rompere gli
schemi di una rigida scissione tra l’individuale e il sociale,
permetterà di stabilire attraverso la sua abile arte
della connessione, di collegare aspetti paradossali dell’inconscio
personale e quello collettivo, attingendo alla fonte mercuriale
dell’attività immaginativa ed artistica
Ho iniziato questo scritto con un racconto mitico, vorrei
concluderlo con un sogno, linguaggio dell’Anima individuale
e sociale, fatta da una paziente all’interno di complesso
e variegato lavoro analitico, strettamente in sincronia con
quanto fin qui esposto, trasformando l’unicità della
rabbia con una consapevolezza di amore verso l’archetipo paterno,
il sociale, le leggi, il futuro.
“Vedevo mio padre, che stava sull’Etna, armeggiava con degli
utensili grandi, di ferro, con il fuoco, come se lo stesse
sistemando. Assisto alla scena, poi gli metto una mano sulla
spalla e gli dico in tono affettuoso: ... anche se non mi
capisci, ti voglio bene lo stesso…”
NOTE BIBLIOGRAFICHE:
1) Giegerich W., Il Concetto di nevrosi secondo Jung,
Vivarium, Milano, 2004
2) Bauman, Z., Amore liquido, Mondadori, Milano, 2005
3) Jung, C.G., Opere, vol. X, Boringhieri, Torino,1980
4) Salant S., Borderline, Vivarium, Milano 2003
5) Freud S., Opere, vol. V, Boringhieri, Torino,1975
6) Leopardi G., Opere, Mondadori, Milano, 2003
7) Omero, Opere, Mondadori, Milano, 2005
8) Klein M., Invidia e Gratitudine, Martinelli, Firenze,
1980
9) Ortoleva R., Testa F., Il mito e il nuovo millennio,
Moretti e Vitali, Bergamo, 2006
10) Salant S., op. cit.
11) Salant S., La Relazione, Vivarium, Milano, 2005.
12) Ortoleva R., Testa F., I volti del sogno, Moretti
e Vitali, Bergamo, 2005
13) Omero, op. cit.
14) Jung,C.G., Opere, vol. xv, Boringhieri, Torino, 1985
15) Omero, op. cit.
16) Salant S., Borderline, Vivarium, Milano 2003.