GRUPPO DI STUDIO PER IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ

ARTE, MITO E PSICOTERAPIA
BORDERLINE E VISIONE DEL MONDO

Ferdinando Testa (Catania)

 

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“Lo spirito inconscio dell’uomo vede
giusto anche se la ragione cosciente
è resa cieca e impotente"
(Jung)

 “E come Efesto udì la parola strazio del cuore, andò alla fucina, nel cuore profondo, meditando vendetta e nel sostegno pose la grande incudine e batteva le catene, da non potere sciogliere o infrangere, perché restassero presi. Poi come ebbe finito la trappola, sdegnato contro Ares, andò nella stanza, dove era il suo letto, e ai sostegni del letto attaccò le catene in cerchio da tutte le parti, e molte altre dall’alto dal soffitto pendevano, sottili come fili di ragno, e nessuno avrebbe potuto vederle, neppure i numi beati: con grande astuzia erano fatte”. (Omero)

Nel racconto mitico possiamo cogliere alcune metafore ed immagini che appartengono alla visione del disturbo borderline di personalità, che si colloca non più solo ai confini tra la nevrosi e la psicosi, ma come un terzo campo con una sua dignità e specificità psichica oltre che psicopatologica.

Nel racconto il tema dell’abbandono, della separazione/unione ed in fondo della rabbia accanto all’amore, sono aspetti che costellano la vita e la visione del mondo del borderline. Su questo sfondo mitico, il mio commentare parla dall’esperienza clinica e degli approfondimenti epistemologici della psicologia analitica, poiché se è vero che per “la nevrosi è in relazione al disagio del tempo” (1), allora la presenza crescente di tale disturbo potrebbe rappresentare il significato del nostro tempo storico. Capire, comprendere e curare comporta una attenzione anche dell’Anima mundi sempre più al confine tra mondi diversi e non più con una precisa e chiara collocazione di identità.

Per questo la cura dell’Anima e delle distorte relazioni col reale di cui soffrono i pazienti, presuppone un cambiamento di rotta della visione della psicoanalisi che tende ad affiancare ad un lavoro interiore anche una attenzione alla rete sociale sul territorio, soprattutto con i pazienti istituzionalizzati.

L’invalidità di Efesto, colui che è claudicante, riporta al rapporto con la terra, la solidità e la stabilità, quella piattaforma sicura, compatta e unita a cui ci richiama l’archetipo della Madre nelle sue funzioni di sostegno, nutrimento ed amore.

Nella storia clinica del borderline, un trauma forse reale, rimosso ma fortemente fantasticato ed investito narcisisticamente, è avvenuto: il nodo d’amore si è sciolto, non ha retto all’impatto con gli eventi personali ed archetipici. Pertanto si è creata una breccia, un varco nella personalità innestando il passaggio verso una condizione in cui il primitivo e l’arcaico hanno aperto le porte delle zone oscure e della distorsione tra fantasia e realtà, della sofferenza impotente con la nascita di un “amore liquido” (2).

La menomazione fisica di Efesto è anche una vulnerabilità psichica, perché qui la manifestazione del corporeo e del mentale viene vista in una dinamica psicosomatica di unione degli opposti; non la completa assenza del contatto con la terra, ma una presenza a metà, determinando nel borderline scissione tra lo spirito e la materia, il reale ed il fantastico, dando spazio e consistenza a quella area intermedia che a che fare con il concetto di ”corpo sottile” (3). Questo campo interattivo contiene la sfumature dello psichico e del fisico, qui vengono vissute esperienze liminali, ovvero archetipiche vere e proprie iniziazioni all’esperienza fenomenica del numinoso e dello straordinario.

La vulnerabilità del dio Efesto sul piano delle relazione umane è compensata inoltre, a mio avviso, dalla sua permanenza nella fucina sotto la montagna dell’Etna, vero e proprio luogo sacro e spirituale dove il rapporto col fuoco diventa centrale nella costruzione delle armi e degli oggetti di bellezza, ovvero l’unione di Ares con Afrodite.

Nella dimensione del borderline la vulnerabilità relazionale, l’essere zoppicante nei rapporti umani, vivere l’esperienza della separazione, l’abbandono e la ferita dell’amore primario, coesistono accanto ad una altra dimensione fatta di creatività, di arte, di oggetti che possono essere deputati alla guerra e alla distruzione, come avviene nel lavoro di Efesto.

Uno dei punti focali della visione del mondo del borderline è proprio la scissione tra gli opposti che vengono estremizzati quasi che il soggetto è come se vivesse e sperimentasse una condizione di aggressività derivante dalla sua incapacità a relazionarsi, avendo il terrore panico nella sua totale apertura di autenticità verso l’altro. Tutto ciò accompagnato dal timore di rivivere il trauma originario impregnato di fantasie arcaiche e mutilanti, espressione di un Sé che è rimasto incapsulato in un processo psicotico.

Nel racconto di Omero assistiamo ad un altro aspetto importante che può essere utile per il nostro lavoro che all’inizio potrebbe lasciarci alquanto perplessi e meravigliati: Afrodite, la dea della bellezza e della sensualità è moglie del dio Efesto, sicuramente non bello e rinchiuso sotto la montagna. Cosa fa la bellezza sull’Etna e come vive tale esperienza Efesto il claudicante?

Forse sono domande che richiedono un pensiero analogico e simbolico dal momento che il compito di uno che fa “un mestiere difficile” così come disse un paziente borderline sulla porta della stanza analitica al termine di una seduta durata solo un breve tempo, è quello di potere usare le capacità immaginativa ed artistica per sondare terreni inesplorati e aggirarsi tra spazi sconosciuti e privi della coerenza dell’Io.

Come Efesto, il paziente borderline vive un’esperienza inflattiva rispetto alla dimensione dell’amore, vero nodo cruciale di tale condizione, archetipo dell’unione: “soffrono di una angosciosa incapacità di incarnare questo principio di unione: il paziente vuole sperimentare gli aspetti oscuri e disordinati della coniunctio con l’esclusione delle sue qualità ordinatrice e generatrice di vita” (4).

La relazione con l’Amore, pertanto piuttosto che essere vissuta a livello della relazione personale/umana, spesso viene impregnata di aspetti archetipici e numinosi non avendo potuto vivere nell’infanzia “l’esperienza oceanica” (5), ovvero il rapporto profondo e coinvolgente con la madre reale, così fondamentale per un sano sviluppo psicologico nella strutturazione degli stati precoci nella relazione madre/figlio. Nel nostro caso invece è venuta meno. In tale rapporto il nutrimento e il supporto di questo oceano, è stato carente, ma non assente (come se non ci fosse stata), invece è stato sostituito dal numinoso: non la madre personale nella sua interezza ma esperienze e/o eventi e/o immagini numinose, con cui la coscienza del giovane Io è stata costellata. Così le parole di una donna in analisi: “non ricordo, non so se è accaduto veramente oppure è solo frutto della mia fantasia; avevo quattro anni e ho una vaga immagine di essere appoggiata al muro; ero con un vestitino colorato, in veranda, e una mano di un adulto mi ha sfiorato. Quando penso a ciò sono terrorizzata, bloccata, ho il panico, ma soprattutto non capisco se è vero o è solo una fantasia. E se fosse vero cosa dovrei pensare di quella mano che conosco? Non riesco a vivere pensando a quella scena!”

Esperienze, vissuti, percezioni, sfumano nell’orizzonte dell’oceano affettivo, perdono consistenza, nitidezza e chiarezza del ricordo, oppure acquistano le sfumature di un colore incerto o fortemente inflattivo, per cui non è possibile dire “... e il naufragar m’è dolce in questo mare...” (6).

L’esperienza con la madre reale pertanto, per una complessità di fattori interagenti tra di loro, ha determinato nello sviluppo psichico di tali soggetti un accumulo eccessivo di emozioni arcaiche e terribili, rimanendo irretiti in livelli psichici di una intensità che è strettamente connessa ai grandi temi della vita (l’amore, la morte, l’unione, il dolore) e che fa del paziente borderline un caso difficile ma anche affascinante per gli psicoanalisti.

Il tema dell’amore, costella il suo opposto, l’odio, lo Stige, il fiume sacro sul quale giuravano gli antichi dei, perchè l’Anima di questi pazienti è seriamente ferita, quasi sconfitta da un trauma di impulsi arcaici e di menzogne che perpetua incessantemente per tutto l’arco di una vita.

Ritornando alla storia mitica vediamo che è il Sole che riferisce ad Efesto “l’abbraccio in amore” (7) tra Afrodite ed Ares: ancora una volta è l’accecamento della coscienza apollinea che spesso tradisce e svela le vulnerabilità delle passioni segrete, permettendo di fare luce sugli aspetti più oscuri del Sé.

Allora Efesto spinto dalla vendetta e dalla gelosia si mise all’opera nella costruzione di una rete che impigliasse gli amanti. Il tema della rabbia, della vendetta, ma oserei dire della gelosia mischiata all’invidia è l’altro polo oscuro del Sé che costella il processo di individuazione in tali pazienti.

Non a caso “l’invidia, è una condizione che deturpa l’oggetto d’amore dell’altro” (M. Klein) innescando il processo della rovina, del guastare, fissando il soggetto nella condizione schizoparanoide così importante nell’insorgenza dei processi psicotici. L’invidia, è un sentimento diverso dalla gelosia, che appartiene quest’ultima più all’area edipica: ma spesso nel disturbo di personalità questi due sentimenti risultano mescolati con una difficoltà nel dargli una giusta collocazione, come invece avviene in altre aree psicopatologiche.

Efesto è spinto dalla gelosia verso Afrodite ma anche dall’invidia verso Ares: non menomato, bello ed affascinante, signore della guerra, anche se è nella fucina di Efesto che vengono create le armi anche per Ares.

Ma Ares in questa fase della storia, poiché aveva spiato Efesto, mentre se ne andava a Lemno, corse da Afrodite: qui l’aggressività si riposa, il riposo del guerriero, l’aggressività si unisce con amore, attuando la coniunctio di cui Efesto è incapace. Occorre sottolineare che quando si è incapace di vivere una situazione così particolare allora il tentativo è di ingabbiare tutto, coprire, incatenare, legare, stingere, soffocare, non favorire il movimento psichico così tanto caro al dio Ermes e anche a noi psicoanalisti.

Efesto, come i nostri pazienti è invidioso della capacità di Ares di abbandonarsi all’amore, di riunirsi nell’amplesso, depositare le armi e concedersi ad Afrodite: questo consente all’aggressività di spogliarsi degli orpelli e di essere nudo nell’incontro con amore; di questo Efesto è invidioso, poiché è questa una esperienza a cui non è dato avvicinarsi.

La gelosia per Afrodite innesca il tema del tradimento e della fiducia, nonché la ferita di un amore primario vissuto in maniera particolare, non potendo abbandonarsi all’altro vivendo la separazione senza angoscia. In Efesto il mescolamento di questi due stati d’animo porta alla visualizzazione dell’unione dell’amore e dell’aggressività: di fronte a tale immagine la vista del borderline non regge, l’unione non può essere accettata e vissuta se non attraverso gli aspetti oscuri, distruttivi e demoniaci del Sé.

L’unica modalità che il paziente conosce di fronte all’amore, vissuto come condizione liminale, è quella di intrappolarlo nella rabbia, attivando sentimenti di onnipotenza e di inferiorità rimanendo continuamente lui stesso prigioniero degli aspetti oscuri ed arcaici. In questo senso la storia di Omero ci permette di vedere la complessità della visione del mondo del borderline, costellando l’Amore e l’odio, l’invidia e la gelosia, l’unione e la separazione e di dare voce, corpo ed immagine a tutto ciò che spesso non appare e che eppure esiste, fuoriesce non sempre ma a tratti, sotto la spinta di eventi e fattori stressanti che la vita, il mondo del lavoro, delle relazioni umane e sociali si presentano nell’arco della vita. Quando questi eventi esterni, attivano le antiche dinamiche interne, per un sorta di combinazione di vari fattori, allora l’antico dramma ritorna alla luce, si mette all’opera e l’acting out diventa comportamento di vita fino ad arrivare alle estreme conseguenze, di passare da una Comunità alloggio al ricovero presso il servizio psichiatrico di diagnosi e cura. Questo è successo ad un grave paziente affetto da un disturbo borderline: la notte si alzava preparando da mangiare ai suoi compagni di stanza, sentendosi onnipotente nel servire gli altri ma incapace di nutrire amorevolmente le proprie vulnerabilità, le relazioni umane, il mondo del lavoro, il rapporto con gli altri, la stabilità nell’assunzione della terapia farmacologica, il rispetto dell’autorità.

La storia raccontata di Omero ci riporta al tema della vicinanza e dell’allontanamento in connessione con la scoperta, dell’esplorazione di un nuovo stato: è la stessa condizione che si trova a vivere il bambino rispetto ai processi di separazione/riavvicinamento, così importanti nello sviluppo psicologico. Nella fase della scoperta e dell’allontanamento dalla figura materna, l’esplorazione del mondo diventa un atto creativo che tende a ristrutturare completamente la gestalt percettiva del tempo e dello spazio, dal momento in cui entra in contatto con la dimensione del numinoso, ovvero lo stato di energia che “afferra e rapisce il soggetto” (9).

In tale contesto la funzione della madre personale è proprio quella di aiuto nel disordine: “Il giovane Io è fragile, necessita di aiuto. La figura materna ha un potente ruolo di mediatore in un processo archetipico e può usare la sua capacità sia per sviluppare l’individuazione del bambino sia per minarla gravemente” (10).

Il paziente borderline di fronte agli eventi numinosi, viene come nel racconto mitico, catturato, ingabbiato, terrorizzato, col panico di esserne sopraffatto lui stesso e gli altri amplificando i processi distruttivi e letteralmente non vedendo gli aspetti positivi del processo di individuazione.

Questo meccanismo è alla base dei processi di unione-separazione del borderline, dove tale condizione viene equivocata e confusa con il concetto di fusione, dal momento che gli stati della mente del paziente sono dominati da un gioco di fusione e di distanza, in cui le modalità inconsce devono condurre al tentativo di mantenere contemporaneamente insieme la separazione e la simbiosi, determinando nel terapeuta e negli operatori uno stato di inquietudine e di smarrimento.

Se l’unione “è una interazione tra due persone nelle quali entrambi sperimentano un cambiamento particolare nel flusso di energia tra di loro, la fusione invece è caratterizzata da un indifferenziazione dei processi che avvengono tra due persone” (11); quest’ultima viene utilizzata soprattutto come modalità di controllo dell’altra persona per negare la separazione e l’angoscia di morte nonché accettare l’autonomia e la diversità dell’altro. È quello che è avvenuto con una giovane paziente che si lamentava del fatto che non conoscendo niente della vita personale del terapeuta impediva di darsi fiducia, entrando in una lenta e graduale dinamica in cui entrambi eravamo intrappolati, incatenati ad una condizione di stagnazione e di inibizione della libido finché, anche con l’aiuto della dimensione creativa non sono nati i primi germi dell’unione e non della fusione.

Il comportamento cosciente e le verbalizzazioni di questi pazienti spesso tendono, con modalità di adattamento e di compiacimento, a coprire le autentiche esigenze all’interno della relazione fatta di stati arcaici di fusione e di terrore nell’abbandono, instaurando una sorta di compulsività psichica che ondeggia tra due tendenze opposte (vicino/lontano) che non trovano una sintesi nella funzione trascendente con la creazione di un terzo elemento: la funzione d’Anima.

Spesso infatti nel lavoro analitico capita di assistere a rapporti in cui si crede che ci sia l’unione ma in fondo poi ci si accorge che dietro a tutto ciò c’è uno stato di fusione e di indifferenziazione: la relazione diventa vicina sul piano della coscienza ma distante dal punto di vista dell’inconscio e il Sé non riesce a liberarsi dalle prigionie della simbiosi attivando l’immagine dell’ ermafrodito come terza dimensione che unisce gli opposti. Il Sé è senza vita, anemico, privo del “soffio vitale dell’anima, del coinvolgimento relazionale” (12) non riuscendo a schiudersi come un fiore di loto o un mandala che contiene, racchiude gli opposti e con un atto creativo crea un campo di trasformazione e di guarigione: un sogno, una relazione d’amore, un inserimento lavorativo, un atto religioso.

Allora si rimane avvolti nella ragnatela della disperazione e del cronico sentimento di impotenza che affligge questi pazienti nonostante lo sforzo che fanno per vivere.

Non sappiamo se fu in quell’incontro d’Amore, ma dal racconto mitico conosciamo che dall’unione tra Ares ed Afrodite nacque una giovane fanciulla dal nome Armonia.

In tale cornice possiamo collocare la rabbia di Efesto, uno sforzo immaginativo, artistico, utilizzando il senso del vedere, la vista, come strumento per comprendere l’invisibile, ovvero il numinoso. La visione del mondo del borderline si colloca lungo la scia di una incapacità a cogliere l’immagine dell’unione cosciente che spesso in analisi diventa timore: si tende con acting out ad abbandonare il campo relazionale; la paura e il panico di soffrire, il timore di perdita del controllo fusionale dell’oggetto d’amore, l’impotenza e la frustrazione intollerabile a rimanere nel letto immaginale con l’analista, attivando la fantasia panica di non potersi più sciogliersi dal legame con l’altro, dal momento che con la parole di una paziente “Perché debbo legarmi a lei e alla nostra relazione? Ma perché noi abbiamo una relazione? Che cosa ne so io di quello che succede tra di noi se mi lascio andare? Chi mi assicura che lei non mi prenda in giro e se ne approfitta di me come hanno fatto tutti quanti gli altri durante la mia esistenza? Lei mi parla sempre di questo inconscio, ma io non lo vedo, e quando lei parla io non la vedo, qua nella mia pancia non la vedo”.

Il borderline è sospeso nel limbo, in una condizione perenne di passaggio senza mai poter sperimentare con la sua totale autenticità l’esperienza spirituale di grande carica energetica di cui è portatore e che aspira a condividere con l’altro.

Il rito di passaggio non avviene poiché non si riesce a cogliere il valore prospettico del Sé, percepito invece solo nei suoi aspetti demoniaci, caotici e di fughe nella disperazione o nella visione malinconica che diventa la carta d’identità per un’ anima anestetizzata.

Rivivere nell’attacco al legame antichi traumi ancestrali, ma soprattutto il timor Dei ovvero l’incapacità, ma sperimentare attraverso l’incontro uno stato liminale (limen, soglia) in cui la coscienza è costretta a proiettarsi verso l’ignoto, attirando energie trasformative, che diano senso e significato al futuro.

Stare al confine, ai margini, dentro e fuori contemporaneamente, vicino e lontano diventa una visione di essere al mondo: le relazioni vengono sfiorate e si rimane onnipotentemente e narcisisticamente da soli.

Così si esprimeva un uomo in analisi a proposito dell’incontro con una giovane donna: “Sa, ho conosciuto una donna, non significativa, né insignificante, non bella, né brutta, abbiamo fatto un giro in macchina, abbiamo passeggiato, ho tirato fuori un libro di poesie e mi sono messo a leggere. Poi in macchina lei mi raccontava che tutte le sue storie duravano circa sempre un anno: allora io ho incominciato ad aprirmi: lei allora si è irrigidita e si è chiusa. Poi mi ha parlato di poesie, di letteratura, si è sciolta, ma io già non c’ero più, ero in un altro mondo, non so dove. L’ho accompagnata, lei ha chinato il capo forse si aspettava un bacio. Mi ha sorpreso tutto ciò, questa delicatezza china del capo, le ho dato un bacio sulla guancia e sono andato via… Non ho mai incontrato una donna intelligente; anzi forse qualcuna, una, due,… di uomini nessuno…”

Penso che questo incontro fugace, veloce, permetta di vedere bene l’immagine della vicinanza e della lontananza, dell’aprire e del chiudersi e di fronte allo scioglimento dell’altro, non c’è sintonia, ascolto profondo ma allontanamento non autistico o schizoide, ma tremore e timore dell’unione, rimanendo legati al proprio passato e ad una visione del mondo di non accettazione della diversità dell’altro.

Così il frammento di storia di una giovane donna in preda alla rabbia verso il marito: “Per un attimo in occasione del compleanno avevo pensato di fermare la macchina. Ero scesa e mi stavo recando in una pasticceria per comprare dei dolci e festeggiare… Ad un certo punto mi sono fermata, mi ha assalito una forza di rabbia e di vendetta... Glielo debbo far pagare… ero, smarrita, disorientata, non ero io. A metà strada sono ritornata indietro, sono salita in macchina, non ho comprato niente. Ritornata a casa... Eravamo due estranei… tutto era normale… messi a letto in silenzio”.

La fragilità dell’incontro, la predominanza della rabbia, la fuga nel mondo fantastico, la sorpresa di un capo chinato, la scoperta dei propri arcaici sentimenti, fanno da cornice ad incontri in cui predomina l’incapacità di immaginare, di vedere, farsi vedere dall’altro;il racconto diventa afono, le parole ammantate da una ingenuità infantile e la tendenza a rimanere nell’oscurità del castello nonostante tutto il male che si fa e che si riceve.

Di fronte a tale situazione il terapeuta ha una grande possibilità che può prendere a prestito dal mito e dall’attività creatrice che è la presenza e il comportamento del dio Ermes.

Nel mito Efesto chiama a raccolta tutti, dei e dee anche se queste ultime per pudore rimangono lontano, esprime la sua rabbia, ma anche la sua abile arte creativa, accanto ad una scena di imprigionamento. Vorrei sottolineare come dalla fenomenologia dello zoppicare, ovvero da una situazione di vulnerabilità, si possa attingere una maniera prospettica e individuativa: Efesto è rimasto prigioniero della propria rabbia, così come Ares e Afrodite sono rimasti prigionieri del loro amore. La scena come in tutte le situazioni triangolari è scissa e gli opposti per essere osservati e visti hanno bisogno di un’altra polarità, di un terzo campo o di un terzo occhio di antica memoria simbolica.

Quando si è intrappolati in una situazione di stallo all’interno di una atrofizzazione degli opposti, la possibilità di risoluzione risiede nella funzione trascendente, stimolando l’attività immaginativa che superi tale dualismo e sappia guardare da un terzo punto di vista il dramma della lacerazione degli opposti: rabbia e amore, maschile e femminile, spontaneità e rigidità, senex e puer, vita e morte.

Così nel mito: “Venite a guardare ciò che accade qui di ridicolo e obbrobrioso Osservate come si dimostra la figlia di Zeus, Afrodite poiché io sono storpio: esso ama il fatale Ares, perché è bello ed ha i piedi regolari, mentre io zoppico. Ma nessuno ne ha colpa, se non i miei genitori: non dovevano mettermi al mondo!” (13).

La voce terribile di Efesto che chiama a raccolta tutti gli dei, punta l’accento sul ridicolo e sull’ indecoroso: la difettualità è lo svantaggio psicosociale del disabile psichico, nella relazione invidiosa verso il virile Ares, la sua ombra; soprattutto il suo grido è rivolto alla colpa dei genitori e del fatto di essere stato messo al mondo. Attraverso Efesto possiamo cogliere l’occasione della scena dell’adulterio per riflettere sui vari aspetti che risultano mescolati tra di loro ed hanno una strategia inconscia nel mostrarsi: il deficit, la mancanza parziale di solidità e di appoggio verso il suolo della madre terra, così nel borderline è presente una difettualità nel sostegno e nel completo movimento psichico. Non può andare veloce, Efesto deve andare lento: ma è proprio la sua lentezza che gli dà la possibilità di essere un abile fabbro nella fucina degli dei, secondo un altro racconto mitico, creando la prima donna, Pandora.

Esiste inoltre una rabbia verso la sua condizione; “mi sento in colpa di esistere; era meglio che non nascevo proprio… non dovrei esistere” queste le espressioni che spesso ascolta il terapeuta da parte del borderline ed Efesto esprime anche la rabbia verso i propri genitori per non aver impedito tale difettualità continuando a perpetuare un senso di impotenza e di inferiorità... Efesto era stato abbandonato dalla madre Era e scagliato dall’Olimpo nel mare e la rabbia di Zeus lo aveva scagliato per la seconda volta sulla terra di Lemno, quando lui aveva preso le difese della madre, ribellandosi alla scelte del padre.

In questo contesto allora l’amore, l’unione, non diventa un puro atto sessuale, ma nel paziente borderline diventa una aspirazione ad una vita spirituale e fisica, quando questo livello di intensa intimità non viene sfiorato o vissuto, allora la rabbia di esistere, la colpa verso il mondo genitoriale, la vulnerabilità nella vita diventano aspetti oscuri e tenebrosi, le gole profonde degli inferi in cui si adombra lo Stige. Ma contengono anche al loro interno semi e veicoli con i quali esprimere una visione del mondo inadeguata, esagerata, ma fondamentalmente autentica: il bisogno di essere visto, guardato, per quello che il soggetto sa e non riesce a mostrarsi all’altro, inflazionato dai retaggi del passato ma anche da forze archetipiche e dal numinoso.

Il tema del numinoso si affaccia con preponderanza nella cura del borderline; la dimensione controtransferale nella relazione diventa uno strumento da parte del terapeuta per conoscere ed esplorare i vissuti personali ed archetipici che gli attiva il paziente, confrontandosi con esperienze che ricordano i riti di passaggio di antiche civiltà primitive. Il contatto col numinoso, permette a Jung di anticipare strategie e interventi clinici nella cura di tali disturbi portandolo a dire: “o è una qualità di un oggetto visibile o l'influsso di una presenza invisibile che causa un particolare cambiamento nella coscienza… l’interesse principale del mio lavoro più che al trattamento della nevrosi è rivolto, piuttosto, all’approccio del numinoso. Il fatto che l’approccio al numinoso è la vera terapia e dal momento in cui si fa esperienza del numinoso, ci si libera dalla maledizione della patologia. Perfino la malattia stessa assume un carattere numinoso” (14).

La preghiera di rabbia che Efesto invoca è contemporaneamente una richiesta rivolta al padre Zeus, il padre spirituale: è il rapporto con l’archetipo del padre, che diventa occasione di confronto e di scontro, nonché occasione di contrattazione psichica. Un padre non presente alla scena ma che alberga in dimore spirituali, che spinge poi il padre delle profondità marine a confrontarsi con Efesto: Poseidone farà da garante nel processo di liberazione e di risoluzione del problema. La possibilità nella cura del disturbo borderline, accanto ad altri interventi presuppone la capacità da parte del terapeuta, (ma direi anche della rete psicosociale di cura per quanto riguarda i pazienti istituzionalizzati) di attivare un pensiero immaginale che sappia guardare oltre, mostrando proprio al paziente un iter progettuale complesso, articolato, con vari attori sulla scena che soddisfano la molteplicità delle parti sane e folli di cui si compone la propria storia.

La preghiera come invocazione è rivolta al padre spirituale invitandoci a saper guardare a ciò che è all’origine della sofferenza borderline: l’abbandono come trauma più o meno reale, la distruttività, l’opportunismo del materno e la rabbia del paterno, ovvero il tema genitoriale in cui il paziente oscilla tra le due colonne portanti: il femminile e il maschile.

È la cura e la terapia la possiamo mettere direttamente in connessione con il dio Ermes che anche lui come gli altri dei partecipa all’invito di Efesto alla grande visione del’unione di Ares con Afrodite. Nel dialogo tra Apollo ed Ermes: “Apollo chiese ad Ermes: “Ti piacerebbe giacere in simili catene con l’aurea Afrodite?” E questi, di rimando: “Ah, se ciò potesse accadere, sopporterei pure catene tre volte più forti! Potreste guardarmi tutti voi, dei e dee perché io giacerei felice con l’aurea Afrodite” (15).

Cosa significa sul piano immaginativo questo strano dialogo tra Apollo ed Ermes che apparentemente sfugge alla comprensione della mente? E come questo frammento di dialogo può esserci utile nella cura e nella terapia? Intanto mi sembra che Ermes, signore del commercio, del furto, dei ladri e dei viandanti è messo ai crocicchi delle strade, ma è anche psicopompo delle anime; messaggero degli dei e vero archetipo delle connessioni psichiche e per Jung è l’archetipo dell’inconscio.

Nel dialogo tra Apollo ed Ermes, due atteggiamenti si confrontano: l’uno che prende le distanze, quasi che non volesse essere coinvolto ed un’altra parte, (Ermes) che si sente visibile, entra nell’intreccio e non ha timore o vergogna di farsi vedere dagli dei e dee. Ermes entra nella rete senza rimanerne prigioniero: poiché lui non è facinatore di reti ma attivatore di immagini archetipiche, ci insegna a non letteralizzare le fantasie e i comportamenti ma a cogliere immaginalmente ed artisticamente le connessioni tra diversi aspetti paradossali che si muovono lungo l’arco della vita.

La sua è una strategia che immagina sulle fantasie sessuali, crea un ponte di collegamento tra il trauma reale e le fantasie erotiche; entra e penetra in quel grande mistero oscuro e spirituale che è la sessualità dandogli non solo una connotazione fisica ma lo nutre con immagini, metafore, analogie, emozioni che racchiudono l’antica tensione del soggetto borderline a connettersi con aree numinose oltre che umane. In questo senso Ermes è il signore ma anche il protettore della patologia borderline; è al confine tra stati mentali contraddittori distanti e vicini, e lui è il più amichevole degli dei, servitore che accoglie non ciò che è volgare ma ciò che è indecoroso. In effetti nella scena di Eros e Afrodite, non vengono messi in evidenza gli aspetti volgari ma è costellato una condizione indecorosa della psiche così pregnante nella visione del mondo borderline; la gelosia e l’invidia, la rabbia, l’inganno, l’essere zoppo, la colpa dei genitori, la separazione, il ridicolo, l’esistenza, il mostrarsi al giudizio degli altri, vedere farsi vedere: una dea che ha tradito e il divino che si è abbassato nell’indecoroso umano.

Tutto questo permette a Ermes di essere lì presente: è quello più adatto per dialogare, stimolando l’immaginazione dell’istinto riflessivo del terapeuta e della intera rete psicosociale a penetrare nella scena conservando tutta la consistenza e la fugacità della sua attività immaginativa. Poiché una cosa che risulti nota dal lavoro clinico con tali soggetti è che la conoscenza della dimensione controtransferale diventa strategia terapeutica, chiave di volta per accedere, in certi momenti del lavorio, al mondo del paziente senza nascondersi dietro interpretazioni e concetti che sembrano note stonate nelle lunghe pause malinconiche e terrorizzanti degli stati mentali sottostanti al caos e al moto dell’anima del borderline: “È ampiamente riconosciuto che il sogno di un paziente può accuratamente descrivere aspetti comportamentali del terapeuta e persino aspetti delle inconscie fantasie del terapeuta nei confronti del paziente” (16).

In questo senso allora l’abilità dell’arte terapeutica e del lavoro psicosociale non deve essere sul modello di Efesto (colui che brilla durante il giorno), intriso di rabbia ed inflazionati dagli aspetti negativi del Sé, ma partendo da esso deve rifarsi ad Ermes colui che unisce i paradossi e che contiene aprioristicamente l’unione degli opposti.

Ermes è una guida terapeutica nei meandri dei processi psicopatologici collocandoli non solo nella sfera personale, ma anche lungo una visione mitica poiché finché non riusciamo a sintonizzarci ad accettare e vedere la parte spirituale e numinosa del paziente, solo un lavoro sulle dinamiche personali e familiari risulterà un’opera incompleta e parziale. Nella misura in cui riconosciamo agli agiti sessuali del paziente un valore prospettico, immettendoli lungo la strada del processo di individuazione e non relegandosi compulsivamente nelle aree rimosse dell’infanzia o della sessualità; nella misura in cui riusciamo a lavorare sulla rabbia che si ha verso Dio non riducendo tutto ciò ad una dinamica col paterno (come ci fa capire Efesto nell’invocare Zeus) ad un infantile bisogno religioso di essere rassicurato; nella misura in cui alla sessualità e alle fantasie erotiche non ci approcciamo con un atteggiamento moralistico ma intravedendo nel dramma anche l’aspetto emotivo e individuativo di volere unire gli opposti, allora la vera e autentica comprensione del mondo borderline rimarrà sempre un caso difficile non solo per il terapeuta ma per l’intera società. Permettetemi di evidenziare come questo lavoro immaginale, con i pazienti che vivono in strutture intermedie sul territorio,debba penetrare e toccare le zone argillose e rocciose del sociale, poiché una terapia dell’Anima non può e non deve trascurare l’Anima mundi, il bisogno di occuparsi anche di ciò che avviene nel reale e nell’esterno. La presenza di una duplex figura di guida, sostegno, permette di tracciare i confini in una età storica di passaggio e di transizione, in cui è presente una crisi nei valori individuali e collettivi.

Allora le immagini della stanza analitica, le scene di unione debbono rimanere in parte ad appannaggio dello spazio individuale, il vaso alchemico del contenitore della relazione terapeutica; ma anche il sociale necessita di vedere, guardare, assistere, dialogare, partecipare ai processi trasformativi della coscienza individuale.

A maggior ragione il lavoro col paziente (mi riferisco a chi lavora nell’istituzioni di cura) deve contribuire alla crescita di un sociale, attingendo questo ultimo dalla dimensione archetipica dell’immaginario della relazione, dei sogni e dell’inconscio e contemporaneamente nutrendo esso stesso i limiti, le contraddizioni di una relazione che non apre la finestra sul mondo reale rimanendo intrappolato, come la scena mitica, nel narcisismo del proprio amore, vero tallone d’Achille della psicoanalisi.

In questo modo allora Ermes, tenderà a rompere gli schemi di una rigida scissione tra l’individuale e il sociale, permetterà di stabilire attraverso la sua abile arte della connessione, di collegare aspetti paradossali dell’inconscio personale e quello collettivo, attingendo alla fonte mercuriale dell’attività immaginativa ed artistica

Ho iniziato questo scritto con un racconto mitico, vorrei concluderlo con un sogno, linguaggio dell’Anima individuale e sociale, fatta da una paziente all’interno di complesso e variegato lavoro analitico, strettamente in sincronia con quanto fin qui esposto, trasformando l’unicità della rabbia con una consapevolezza di amore verso l’archetipo paterno, il sociale, le leggi, il futuro.

“Vedevo mio padre, che stava sull’Etna, armeggiava con degli utensili grandi, di ferro, con il fuoco, come se lo stesse sistemando. Assisto alla scena, poi gli metto una mano sulla spalla e gli dico in tono affettuoso: ... anche se non mi capisci, ti voglio bene lo stesso…”


NOTE BIBLIOGRAFICHE:

1) Giegerich W., Il Concetto di nevrosi secondo Jung, Vivarium, Milano, 2004

2) Bauman, Z., Amore liquido, Mondadori, Milano, 2005

3) Jung, C.G., Opere, vol. X, Boringhieri, Torino,1980

4) Salant S., Borderline, Vivarium, Milano 2003

5) Freud S., Opere, vol. V, Boringhieri, Torino,1975

6) Leopardi G., Opere, Mondadori, Milano, 2003

7) Omero, Opere, Mondadori, Milano, 2005

8) Klein M., Invidia e Gratitudine, Martinelli, Firenze, 1980

9) Ortoleva R., Testa F., Il mito e il nuovo millennio, Moretti e Vitali, Bergamo, 2006

10) Salant S., op. cit.

11) Salant S., La Relazione, Vivarium, Milano, 2005.

12) Ortoleva R., Testa F., I volti del sogno, Moretti e Vitali, Bergamo, 2005

13) Omero, op. cit.

14) Jung,C.G., Opere, vol. xv, Boringhieri, Torino, 1985

15) Omero, op. cit.

16) Salant S., Borderline, Vivarium, Milano 2003.


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